Politica

Giunta Raggi, la realtà spietata colpisce come un boomerang

“Prima di giudicare un uomo cammina nei suoi mocassini per tre lune”. Di questo proverbio indiano dovrebbero fare tesoro tutti i pentastellati e ripeterlo come un mantra ogni volta che si apprestano a stracciarsi le vesti per le presunte malefatte altrui e a scandire “onestà, onestà” volendo implicare che di essa solo loro hanno il copyright.

Le vicende di Roma sono sotto gli occhi di tutti e il re è nudo.“Tra il dire e i fare c’è di mezzo il mare”, per dirla con un proverbio delle nostre parti; una cosa è giudicare le azioni degli altri (spietatamente anche), altra è riuscire a comportarsi diversamente in situazioni analoghe.

Partiamo dal compenso del capo di gabinetto Raineri: dopo avere urlato per mesi contro le retribuzioni dei politici e degli amministratori, dopo avere additato le pensioni elevate come un furto da tagliare indiscriminatamente (tetto a 5.000 € tout court era una delle proposte iniziali del M5S) i “grillini” si sono scontrati con la realtà: le alte competenze si pagano quanto il mercato richiede, per il semplice fatto che altrimenti i competenti si dedicano ad altre attività dove le loro capacità possono essere remunerate per il loro valore e si deve poi attingere a persone meno costose perché assai probabilmente meno preparate.

E’ una regola che chi ha lavorato in aziende conosce molto bene: se vuoi un venditore eccellente o un progettista inventivo e tenace e non li hai, devi andare sul mercato e strapparli alla concorrenza a suon di retribuzione e incentivi. Non ho trovato niente di strano nel fatto che un magistrato in aspettativa aspirasse a una retribuzione analoga a quella lasciata per rendersi disponibile a lavorare come capo di gabinetto del sindaco di Roma (non esattamente un compito di routine e di poco impegno); avrebbe dovuto, casomai, essere fatta una valutazione delle capacità, ma a valle di un esito positivo non trovo niente di strano in una retribuzione di quel genere.

Ma farlo capire all’elettorato grillino che per anni è stato indottrinato a pensare che dietro a uno stipendio elevato (soprattutto se molto elevato) non ci siano anche esperienza, competenza, capacità, creatività, solerzia, da valutare, ma sempre e solo un bieco accordo di clientela, una corruzione, uno spreco, è ben difficile.
Non invidio i vertici del M5S che si sono trovati tra l’incudine della realtà e il martello degli attivisti (quanti però?) che hanno ammaestrato per anni; certo, se la sono un po’ voluta, senza anni di indiscriminato dissertare sul “quanto” mai abbinato a una valutazione della qualità dei servizi resi, si sarebbero risparmiati le vicende di questi giorni.

Anche sul versante della legalità (qui si che il grido “onestà, onestà” è risuonato forte) i pentastellati hanno fatto una doccia fredda nella realtà. Dopo avere ripetutamente chiesto l’allontanamento di qualsiasi politico indagato, dopo avere espulso o portato alle dimissioni chi non aveva comunicato in tempo reale il ricevimento di un avviso di garanzia, si sono trovati in mezzo a una grana assai poco chiara con un assessore indagato, una sindaca che sapeva e dice di avere informato il “cerchio magico” del direttorio o un parte di esso.
Anche qui: la realtà insegna che in doverose indagini su malefatte innegabili, la magistratura, talvolta per atto dovuto, indaga su persone che poi incriminerà, così come su persone che alla fine vengono ritenute completamente estranee ai fatti.

Ma come spiegarlo a quelli che sono stati incitati per anni a considerare qualsiasi indagato non già come un innocente fino a prova contraria , ma come un reo a priori, secondo il paradigma che “se ti indagano è perché qualcosa di male devi aver fatto”? Anche in questo caso, il buon senso suggerirebbe che si aspetti la fine delle indagini (un po’ troppo lunghe da noi, forse) e si rinvii il giudizio a quando si saprà chi è rinviato a giudizio (si scusi il bisticcio).

Ma il discernere tra competenti e non, tra meritevoli e maneggioni, tra innocenti fino a prova contraria e condannati, richiede analisi, senso pratico e soprattutto la volontà di ragionare con calma e serenità; tutte cose che non danno consenso immediato e non aiutano alla “spallata”.

D’altro canto, aizzare le folle storicamente paga. Solo nell’immediato però, perché il boomerang, anche dopo un lungo giro, torna e ti colpisce alla nuca quando magari ti stai arrabattando a gestire al meglio una realtà che avevi acerrimamente criticato senza conoscerla. Urgono borse del ghiaccio per i vertici del M5S.