La ‘Giustizia climatica‘ è uno degli argomenti di maggiore attualità nel dibattito internazionale sui cambiamenti climatici. Dall’attuale modello di sviluppo emerge un paradosso: le popolazioni che subiscono maggiormente le conseguenze del riscaldamento globale sono quelle che meno hanno contribuito a creare il fenomeno. Questa situazione di squilibro può essere gestita soltanto riconoscendo le responsabilità storiche delle nazioni industrializzate. Da queste è necessario un maggiore impegno nella riduzione dei gas serra, ma non solo. Fondamentale è anche il riconoscimento delle conseguenze economiche e sociali di un fenomeno che si abbatte soprattutto sui poveri, donne e bambini in particolare.
La questione morale della giustizia viene quindi introdotta in ambito ambientale, reclamando un diritto collettivo dell’umanità a un ambiente sano, tutelato e accessibile alle popolazioni autoctone. Il tema della giustizia climatica ha già avuto risalto in occasione dell’ultima conferenza sui cambiamenti climatici, la cosiddetta COP21, organizzata dalle Nazioni unite a Parigi nel 2015. E se ogni volta l’obiettivo è quello di giungere a un nuovo accordo sul clima, “giusto e ambizioso” secondo la consueta formula d’auspicio, nel caso specifico si è lavorato perché il principio della giustizia climatica ne fosse parte vincolante.
Il termine ‘giustizia climatica’ compare per la prima volta nel 1999 in un articolo pubblicato dall’organizzazione CorpWatch, “Greenhouse Gangsters vs Climate Justice”, dove l’appellativo di ‘banditi dei gas serra’ si riferisce ai paesi industrializzati responsabili della maggior parte dell’inquinamento da combustibili fossili a discapito delle nazioni che patiscono l’ingiustizia delle loro ormai provate conseguenze climatiche. L’influenza che assume nel dibattito internazionale porta all’organizzazione nel 2002 del Climate Justice Summit, un incontro di vertice che si tiene in parallelo alla COP6 dell’Aia, in Olanda. L’obbiettivo di questo primo summit era sottolineare come le popolazioni esposte agli effetti del riscaldamento globale non avesssero voce nel processo negoziale e come il cambiamento climatico non fosse un problema semplicemente politico ed economico, ma soprattutto sociale, con particolare riferimento alla condizione femminile e dell’infanzia.
A 14 anni di distanza, grazie alla crescita del dibattito mondiale e alla nascita di comitati regionali sulla giustizia climatica, la centralità femminile nella sua rivendicazione è consolidata. Per le donne la ‘Giustizia climatica’ rappresenta un catalizzatore per la lotta alla disuguaglianza di genere. Il cambiamento climatico esacerba la condizione di vulnerabilità in cui vivono milioni di persone ogni giorno, amplificando le discriminazioni e le problematiche già presenti all’interno delle società che colpisce. Riconoscere questo meccanismo significa riconoscere il legame tra questo fenomeno e i diritti umani. Le donne sono discriminate a vari livelli in moltissimi paesi e in alcune nazioni in particolare le limitazioni che subiscono, combinate con gli effetti del cambiamento climatico, sono così gravi da mettere a rischio la loro stessa sopravvivenza. Grazie al dibattito sulla ‘Giustizia climatica’ si è creata una sempre maggiore consapevolezza nella comunità internazionale sulla necessità di introdurre una prospettiva di genere in qualsiasi azione ambientale.
Nonostante le buone intenzioni, tuttavia, gli enormi interessi che gravitano attorno alle politiche di tutela ambientale hanno influenzato in senso riduttivo la posizione di molti rappresentanti nazionali presenti alla COP21 di Parigi. È successo così che il tema della ‘Giustizia climatica’ sia stato stralciato dalla parte più significativa del trattato finale limitandosi alla sua citazione al preambolo non vincolante. Destino simile è toccato alla parità di genere: presente nel preambolo e nella parte vincolante del testo, ma in termini così generici da lasciare perplessità sulla sua efficacia. Nonostante il disappunto, l’attività di advocacy delle organizzazioni femministe non si è certo fermata: Parigi poteva portare un risultato di maggiore impatto, ma c’è sempre stata la consapevolezza che questa conferenza avrebbe rappresentato solo il primo passo di un lungo cammino di riconoscimento. La ‘Giustizia climatica’ è in effetti un principio rivoluzionario che pone la necessità di un cambiamento strutturale del sistema di approvvigionamento energetico, al centro del quale deve essere rimesso l’intero genere umano. Una sfida decisamente ambiziosa e irta di ostacoli.
di Chiara Soletti