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In Alta Val Pusteria, dove la parola d’ordine è ecosostenibilità. Cosa fare e cosa vedere nella piccola valle delle Dolomiti patrimonio dell’Umanità

Là dove la natura è un bene protetto e una risorsa economica, si coltiva e si alleva senza cedere al mito della superproduzione e ci si muove in bicicletta

Non sapevo esattamente cosa significasse Innichen, mica è quel genere di parole che si trova in un dizionario, e mi piaceva credere che chi aveva “tradotto” il toponimo tedesco nell’epoca in cui si italianizzò forzosamente il Sud Tirolo (almeno nei nomi) avesse avuto un’idea illuminante. Ribattezzare quel teutonico e tenero villaggio San Candido: cosa c’è di più dolce di un nome così? Fu semplicemente ispirato dalla piazza ordinata, dalle facciate lustre delle case, dalle chiese curate e dai campanili rigorosi, dai masi perfetti come casette da presepe appesi sulle montagne intorno? In realtà Innichen, termine che discende dalla tedeschizzazione dell’antico nome dato alla zona, fu chiamato San Candido per via del santo e martire cui è intitolata da sempre la collegiata intorno alla quale si è sviluppato il paese. E io che pensavo a un colpo di genio. Certo la sostanza non cambia, ma un nome – insegnano gli esperti di marketing – conta. Psicologicamente. Quelli che arrivano a San Candido da visitatori si aspettano un borgo lindo e romantico; i tremila e poco più abitanti che vivono nelle case “candide” si sentono di non poter tradire quella suggestione. Così se ti capita di trovarti di mattina presto, in una bella giornata d’estate, con l’aria comunque frizzante, le sciabolate di luce sul campanile della collegiata, i riflessi sui decori dorati della grande chiesa di San Michele, i balconi di legno scuro con file di gerani perfette come le aiuole di un giardino botanico, le scritte in artistico corsivo sulle facciate degli alberghi, dei cappellai e dei venditori di loden, due anziani in abiti tradizionali che si salutano, qualche stupito turista mattutino, allora capisci che la dolcezza del luogo non è davvero solo nel nome. È reale.

Il dolce mondo dell’Alta Val Pusteria comincia qui, da un nome. Il resto lo fa quel che c’è intorno, prati verdi e rocce, pascoli e guglie appuntite, cieli azzurri e nuvole basse. La piccola e intima Hochpustertal. Ce n’è di più famose nelle Dolomiti, più di moda. Cortina d’Ampezzo, per dire. Esplosiva, mondana, esagerata. Qui invece è tutto più misurato, a parte le Tre Cime di Lavaredo, vistosi “denti” che stanno nel mezzo, al confine fra Alto Adige e Veneto, ma “appartengono” più all’Alta Val Pusteria che ad altri. Fanno parte delle Dolomiti di Sesto e Sesto-Sexten è un altro dei cinque piccoli comuni che compongono la piccola valle. Che un po’ rientra nel Parco naturale Tre Cime e un po’ nel territorio del Parco naturale Fanes-Senes-Braies. Tutto sotto il cappello Unesco, che nel 2009 ha dichiarato le Dolomiti patrimonio dell’Umanità. Risultato: la maggior parte dell’Alta Val Pusteria è posta sotto tutela. E la natura, bene protetto, è diventata risorsa economica.

«Il nostro obiettivo», spiega Dieter Wurmböck, presidente del Consorzio turistico Alta Pusteria e proprietario dello Sporthotel Tyrol a San Candido, «è creare sviluppo riducendo al massimo l’impatto ambientale». Agricoltura e allevamento funzionano ancora nel segno del “maso chiuso”, un istituto giuridico altoatesino di tradizione germanica che costituisce un unicum nel diritto civile italiano. Aggiustato per cancellare le discriminazioni fra maschi e femmine, primogeniti e altri figli, prevede l’indivisibilità della proprietà contadina, considerata come un’azienda la cui sopravvivenza merita di essere salvaguardata più dei diritti dei singoli componenti della famiglia. Un bene collettivo, insomma, che non può essere parcellizzato ma trasmesso nella sua interezza a un unico erede, disposto a farsi carico di continuare quell’attività e consegnarla intatta e in salute alla generazione successiva. E così in Alto Adige i masi non si sono svuotati e non sono caduti a pezzi, ma sono piccole economie di successo, a conduzione familiare, generalmente di pochi ettari, autosufficienti o quasi, certamente autonome, che producono e trasformano in proprio. Non vedrete mai da queste parti tragici allevamenti intensivi, ma mucche libere al pascolo. Tanti allevatori con pochi capi, una produzione di alta qualità ed eticamente corretta. Tanti, piccoli e uniti. Per esempio 180 di loro gestiscono la Tre Cime Mondolatte a Dobbiaco-Toblach (terzo comune della valle): 35mila litri di latte al giorno, prodotto da vacche che si nutrono di fieno e foraggio di stagione, confluiscono qui e diventano  una trentina di tipi di formaggio. Senza alcun cedimento al mito della super produzione.

Finita l’estate, la valle sta abbandonando piano piano il verde intenso di quest’anno piovoso e presto virerà verso il giallo e il rosso dell’autunno. Se è piacevole e serena l’estate, perfino frizzante, l’autunno ha il fascino di un quadro di Van Gogh. Prendete Braies e il suo lago. Magnifico squarcio verde-azzurro a 1.500 metri di quota fra le montagne, contornato da boschi, con un passato di nobili frequentazioni ottocentesche, un albergo storico, oggi reso ancora più famoso da un celebre serial televisivo. In Un passo dal cielo Pietro-Terence Hill vive in una palafitta di legno insieme con il suo cavallo. Personaggio positivissimo, in un ambiente bucolico e sereno, ogni tanto interrotto, nella finzione, da qualche malefatta umana. Un successo la serie, un successo per il luogo, che è diventato meta di una sorta di pellegrinaggio laico. Braies-Prags è il quarto comune della valle. Raccolto, separato, intellettuale se si vuole, d’inverno ha moderate piste da sci, d’estate ci si va a rilassare, si rema su barchette di legno uscite dal celebre cantiere Archetti di Monte Isola e finite quassù, si passeggia lungo il percorso che borda il bacino, fra pini, rocce e fiori, all’ombra della Croda del Becco. Per un tratto si può fare anche in mountain bike. Oppure, con la bici, si può raggiungere il lago di Dobbiaco, per una sorta di gemellaggio. Un altro laghetto alpino, ancora con le montagne che si riflettono nell’azzurro. E ancora ciclisti in allegri sciami. Ecco, la bicicletta, risorsa turistica a impatto zero: è lei la regina, qui. Rent a bike dappertutto, bike hotel dappertutto, piste ciclabili dappertutto e un treno studiato per riportare al punto di partenza chi si è avventurato troppo lontano ed è stanco per tornare indietro a forza di gambe. Si riconosce perché è colorato. D’inverno lo usano per scarrozzare sciatori da un comprensorio all’altro.

Ancora più minuta, intima, è Villabassa-Niederdorf (questa sì che è una traduzione letterale), lontana dai fasti mondani, messa lì su un torrente dalle acque chiare, un paio di chiese, fienili, alpeggi e un albergo, l’Adler, che sembra esserci da quando esiste la valle. Una località celebre, grazie a un sommesso passaparola, fra gli amanti della tranquillità. Ma una volta l’anno si infiamma, Villabassa. È qui, infatti, che parte e arriva la mitica Dolomiti Superbike, “the hardest mountain bike race in the Dolomites”, la gara con la più alta partecipazione di concorrenti in tutta Italia e una delle più affollate d’Europa. Banco di prova anche per i ciclisti professionisti (è inserita nelle gare di Coppa del Mondo XCM e vale come qualificazione per le olimpiadi), nel 2017 avrà un percorso di 113 chilometri e 3.357 metri di dislivello. Ma si potrà sempre optare per il circuito più breve, 60 chilometri e 1.785 metri di dislivello. E ancora una volta, solo per qualche giorno, la mitica calma della valle verrà squassata.

 

INFO

Alta Val Pusteria (Alto Adige)

www.altapusteria.info

www.dolomitiunesco.info/?gruppo-dolomitico=dolomiti-settentrionali

www.dolomitisuperbike.com