Diritti

Rivolta nel carcere minorile di Airola, ma la soluzione non è buttarli nelle galere ‘dei grandi’

Il sistema della giustizia minorile va difeso. È un’anomalia positiva italiana. Siamo stati capaci di rendere residuale il carcere senza che aumentassero i delitti commessi da ragazzi. È questo un merito che va attribuito anche al lavoro straordinario dei tanti operatori sociali e della giustizia che lavorano negli istituti penali per minori, nei centri di prima accoglienza, nelle case famiglia. In Italia sono circa 450 i detenuti ristretti nelle carceri minorili. Fortunatamente il sistema ha resistito a tutti i tentativi di smantellamento.

L’ultimo rapporto di Antigone sulle carceri minorili riporta che nell’istituto di Airola (Benevento) erano presenti 30 ragazzi detenuti e 44 agenti di polizia penitenziaria, ai quali naturalmente si affianca tutto il personale amministrativo. Circa un poliziotto e mezzo a ragazzo. Ogni ragazzo con il proprio poliziotto personale.

Nelle scorse ore il carcere per minori di Airola è stato teatro di qualche tumulto. Pare che alcuni ragazzi abbiano lamentato problemi sul cibo e sul fatto che le sigarette ordinate allo spaccio interno – il cosiddetto ‘sopravvitto’ – non arrivavano. Teste calde come spesso sono i ragazzi, hanno dato di matto. Sfasciato un po’ di roba nelle celle, preso a calci e pugni ogni adulto che si avvicinava a loro. Un comportamento grave, violento e pericoloso. A questi ragazzi, come a tanti adolescenti che vivono nel mondo libero, va spiegato che i problemi si risolvono con il dialogo. Va spiegato che mai e poi mai si deve usare la violenza, mai e poi mai si deve ricorrere a gesti d’ira, spaccare oggetti, peggio ancora rischiare di far male a qualcuno. I ragazzi vanno sempre educati. Come ciascuno di noi in famiglia educa i propri ragazzi, che forse a volte avranno dato di matto, avranno avuto comportamenti deprecabili, saranno stati sgridati e messi in punizione. Una punizione intelligente, da noi scelta al fine di far comprendere loro gli sbagli commessi.

Il sindacato autonomo di polizia penitenziaria Sappe ha subito parlato di una gravissima rivolta. Lo ha sempre fatto, a ogni episodio che in questi anni si è verificato in un istituto penale per minori. Lo scopo è dimostrare che la giustizia minorile italiana – che tutta Europa ci invidia, che è capace di recuperare alla società la stragrande maggioranza dei ragazzi che finiscono nel circuito penale, che usa il carcere come strumenti davvero residuale – non funziona, è troppo lassista, non usa il pugno di ferro con i ragazzi quanto questi meriterebbero.  Lo scopo è dimostrare che ai minori vanno applicate le regole dure previste per gli adulti.

Da un paio d’anni la legge consente ai ragazzi che hanno commesso il reato da minorenni di fermarsi nel carcere minorile fino al compimento del 25esimo anno di età, quando dovranno essere trasferiti in un carcere per adulti. Prima il limite era posto a 21 anni. Le nuove regole sono pensate per offrire a più ragazzi ancora la possibilità – avendo compiuto il reato da giovani, quando non potevano essere criminali incalliti ma erano ancora personalità in evoluzione da cercare a tutti i costi di recuperare a una vita non deviante – di usufruire di un sistema detentivo più morbido, improntato sulla scuola, su un modello educativo piuttosto che punitivo.

“Il problema è che l’ordinamento consente la presenza di ultra ventunenni  – dice il Sappe – Sono piccoli boss che portano avanti una lotta per la supremazia”. Dietro ai tumulti delle scorse ore il Sappe legge qualcosa di oscuro e strutturato: “È una manifestazione di forza da parte di clan della criminalità organizzata che si sono formati all’interno del carcere. La rivolta è scoppiata per questo, è una lotta tra bande e uno dei clan ha voluto così dimostrare che è più forte e che riesce a tenere in scacco anche lo Stato”.

Io non so se dietro quelle violenze ci siano i clan. Ricordiamoci però che parliamo di ragazzi che hanno commesso il reato da minorenni. La sfida di uno Stato forte è far loro capire come paghi sempre l’uso della ragione, del dialogo, della nonviolenza, dell’onestà. La sfida è farglielo capire con gli strumenti della legalità e dell’educazione. Senza buttarli nell’inferno delle carceri ‘dei grandi’.

Il capo del Dipartimento della Giustizia Minorile, Francesco Cascini, dopo aver visitato il carcere minorile di Airola, ritiene che la rivolta scoppiata all’interno dell’istituto non sia scaturita da contrasti tra clan camorristici. I disordini sono nati, secondo Cascini, “da una protesta intentata da parte di 13 detenuti. La reazione violenta del gruppo è consistita sostanzialmente nel danneggiamento delle camere detentive e nel lancio di oggetti. Quattro agenti di polizia, intervenuti per ripristinare l’ordine, hanno riportato lesioni lievi. I tre detenuti promotori della protesta sono stati immediatamente trasferiti in altre strutture penitenziarie e la situazione, dopo poche ore, è tornata alla normalità”.

Aggiornato dalla redazione web del 7 settembre alle ore 17:30.