“L’auspicio che formuliamo è che i ricorrenti vadano avanti e che ci sia spazio nel terzo grado di giudizio di recuperare una situazione che al momento sembra persa”. Enrico Gagliano del coordinamento nazionale No Triv commenta così a ilfattoquotidiano.it il verdetto del Consiglio di Stato che di fatto ha dato il via libera alle trivellazioni nel Canale di Sicilia, bocciando il ricorso presentato da amministrazioni locali e associazioni ambientaliste contro il progetto di Eni ed Edison sull’offshore ibleo, che in estate ha registrato l’avvio della procedura di valutazione di impatto ambientale per il campo Vega B da parte del ministero dell’Ambiente. L’obiettivo del ricorso era ottenere l’annullamento della sentenza del Tar del Lazio, con la quale i giudici amministrativi di primo grado si erano espressi a favore della ricerca di idrocarburi da parte delle due società. Ma il verdetto ha confermato la decisione del tribunale amministrativo sulla compatibilità ambientale della concessione d3c.g.-a.g., che permetterà la perforazione e il completamento di pozzi per l’estrazione gas. “E’ l’ultimo pezzo di un mosaico che va componendosi con nuove attività entro le 12 miglia per il campo Vega B e il progetto off-shore ibleo, che prevede attività sempre entro le 12 miglia che, invece, avremmo potuto fermare”, commenta Gagliano. Un mosaico al quale le compagnie non vogliono rinunciare. Eni ha investito oltre due miliardi di euro nell’area e sul territorio è guerra di numeri, tra piano di rilancio, occupazione, ambiente e salute.

LA SENTENZA DEL CONSIGLIO DI STATO – Con il verdetto si dà il via libera alla ricerca e  all’estrazione di gas sulla terraferma e nell’area del Golfo di Gela, al largo della Sicilia. Il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso presentato dalle associazioni ambientaliste Wwf, Legambiente, Greenpeace, Legacoop Pesca Sicilia e Touring club italiano e dai Comuni di Ragusa, Santa Croce, Vittoria, Scicli, Palma di Montechiaro, Licata. Un ricorso presentato contro la Presidenza del Consiglio, i ministeri dell’Ambiente, dello Sviluppo Economico, dei Beni Culturali e le società Eni e Edison titolari delle concessioni. Secondo il Consiglio di Stato “nell’atto di appello di circa 40 pagine – si legge nelle motivazioni – i riferimenti critici alla motivazione della sentenza di primo grado sono quasi del tutto assenti”. E riguardo al parere negativo della Regione “per gli interventi soggetti a Via (Valutazione d’impatto ambientale) statale è meramente consultivo e, quindi, non vincolante”. Dunque la decisione: “L’appello inammissibile”.
IL PROGETTO – La sentenza riguarda un investimento di circa 1,8 miliardi: sono previsti il completamento di sei pozzi nei campi Argo e Cassiopea e di altri due pozzi esplorativi, Centauro 1 e Gemini 1, oltre alla realizzazione della piattaforma Prezioso K, che costerà circa 700 milioni di euro e che metterà in collegamento i campi Argo e Cassiopea. A riguardo i giudici hanno sottolineato che “Argo e Cassiopea si collocano al di fuori del sito protetto Rete Natura 2000”. Di più: lo studio di impatto ambientale è stato integrato da uno studio di incidenza che ha escluso che il progetto possa avere “interferenze dirette e indirette” su tali siti. E se nel loro appello i ricorrenti (condannati anche a pagare le spese) avevano fatto riferimento al divieto ricerca di idrocarburi entro le 12 miglia marine, il Consiglio di Stato ha ricordato che i pozzi in questione beneficiano della deroga. Eni ed Edison hanno anche avuto in concessione per altri 20 anni la possibilità di ricercare idrocarburi nel Canale di Sicilia. Dove, proprio al largo di Gela, sono due le concessioni attualmente attive rilasciate entrambe a EniMed. Una scadrà nel 2017 ed è relativa alle piattaforme Gela1 e Gela Cluster, l’altra scadrà nel 2020 e conta su altre due piattaforme, Perla e Prezioso. Altre due, di Edison ed Eni, si trovano nelle acque di fronte a Ragusa.
IL PROTOCOLLO DI GELA – Il progetto al quale il Consiglio di Stato ha dato il via libera rappresenta la parte più importante di un investimento complessivo di 2,2 miliardi di euro previsto dal protocollo di intesa sottoscritto al ministero per lo Sviluppo economico il 6 novembre 2014. E la sentenza arriva proprio in tempo: è stato fissato per il 19 settembre l’incontro al Mise per verificare l’attuazione del protocollo che, tra le altre cose, prevede una spesa di 32 milioni di euro di compensazioni da parte di Eni per finanziare progetti di riqualificazione del territorio. E segnare il passaggio dalla chimica alla bio raffineria con il rilancio del polo energetico. “Il perno di tutto ciò che sta avvenendo è protocollo di Gela del 2014 – commenta Gagliano – rispetto al quale siamo molto critici perché dietro quel progetto di riconversione apparentemente green si sceglie un modello di sviluppo che si fonda ancora una volta sullo sfruttamento delle risorse, sul depauperamento di un territorio con ricadute occupazionali dubbie”. Per i No Triv è lo stesso copione visto in altre aree del Paese. “Come a Ravenna – conclude Gagliano – dove un eventuale ‘sì’ al referendum No Triv avrebbe dovuto portare disoccupazione, ma dove i posti di lavoro si sono persi ugualmente perché si possono anche sbloccare tutte le procedure, rilasciare permessi di ricerca e coltivazione a volontà, ma alla fine le sorti di questo settore sono segnate dal fatto che i tempi vanno in direzione opposta”.

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