Finalmente c’è stato martedì in prima serata, e su due canali entrambi generalisti, il confronto fra i due possibili linguaggi della politica in tv: a) quello di Politics, in fondo ispirato alle Tribune politiche di Jader Jacobelli e ai confronti fra i candidati americani, e cioè ai format in cui domina il cronometro e si risponde alle domande del conduttore; b) quello di In Onda (per l’occasione in edizione lunga) dove si chiacchiera a soggetto avendo gli ospiti ogni possibilità di avventurarsi in discorsi sostanzialmente autogestiti.

A rompere la rotondità e la monotonia del dire e dell’eventuale divagare, nel primo format interviene il cronometro. Nel secondo format provvedono i parlatori concorrenti, con interventi di disturbo, scuotimenti di capo, smorfie e ogni altro arnese del mestiere. Nel primo caso la redazione deve studiare attentamente gli oggetti (problemi, circostanze, eccetera) sui quali interrogare l’ospite. Nel secondo caso l’arte redazionale consiste essenzialmente nell’assortire gli ospiti in modo che alla Bella si accompagni la Bestia, al Causidico si accosti l’Impetuoso, al Dandy non manchi la compagnia del Sobrio.

Detto in altro modo, il primo format offre un talk show di approfondimento spettacolarmente sostenuto dal meccanismo del quiz, dove l’occhio intellettivo segue l’argomentare e quello emotivo sta sul primo piano del concorrente sotto sforzo (in questo caso il politico) sicché, nell’insieme, cogliendone l’agire complessivo, ci facciamo un’idea di quello che dice e di che pasta è. Il secondo format è invece tipico del talk show di compagnia, sostenuto sul piano spettacolare dalla serialità delle ospitate con l’effetto All in the family e la conseguente prontezza, che il pubblico acquisisce dopo un po’ di apparizioni ripetute, di decodificare stili argomentativi e connotazioni esteriori dei “commedianti”, dai Cacciari, agli Sgarbi, agli Scanzi, su su (o giù giù, fate voi) fino ai Freccero.

Martedì sera i due format si sono spartiti praticamente ex equo quasi 2,5 milioni di spettatori, con indici di permanenza per entrambi attorno al 25%, piuttosto elevati per i talk show politici (ma qui di certo ha inciso l’interesse suscitato, proprio in quel giorno, delle faccende interne ai 5 Stelle e alla loro giunta romana). Nettamente diversa invece è risultata la composizione delle rispettive platee: anzianotta quella di In Onda, decisamente e inusualmente giovane quella di Politics. E questa potrebbe essere la vera notizia della serata: che i più giovani, cresciuti – parola di auditel in questi anni – schivando la politica identificata con l’esibizione del , sembrerebbero interessati alla politica-progetto, sfidata a condensare le sue idee, se ce l’ha, senza divagare. Se questa ipotesi non fosse un volo pindarico e trovasse conferme anche nelle audience che conseguiranno le prossime puntate di Politics, ci sarebbe ovviamente di che almanaccare su se e quanto il linguaggio della “empatia”, di cui fu principe Berlusconi, stia arretrando, nelle giovani generazioni, rispetto al requisito dell’”affidabilità”. E su quanto le forme-partito (o Movimento che siano), il personale politico attuale e i suoi collaterali –giornalisti, esperti vari, eccetera – siano adatti a questo diverso sguardo.

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