Di numeri ufficiali non ce ne sono. Ma Amatrice, Accumuli e Arquata del Tronto non sono gli unici centri dove in passato sono stati fatti interventi di adeguamento o miglioramento antisismico che hanno ottenuto un effetto diverso da quello ricercato, non sempre migliorando la situazione esistente. È il caso dell’aggiunta di cordoli e tetti in cemento armato che, qualora i muri sottostanti siano di qualità scadente, può portare a un aumento della vulnerabilità dell’edificio in caso di terremoto. “Temo che siano molte le situazioni in cui questa tipologia di intervento è stata utilizzata – spiega Paolo Riva, docente di Tecnica delle costruzioni all’università degli studi di Bergamo e vice presidente dell’associazione Isi (Ingegneria Sismica Italiana) –. Questo tipo di intervento era infatti molto utilizzato negli anni ottanta e novanta. Era ritenuto assolutamente corretto”.
La realizzazione di cordoli e solai o del tetto in cemento armato era prescritta addirittura dalle linee guida che in quel periodo dettavano le regole sui criteri per intervenire nelle zone ad alta pericolosità sismica. E anche le norme del decreto ministeriale del 16 gennaio 1996 (“Norme tecniche per le costruzioni sismiche”), emanato dal dicastero dei Lavori pubblici, nel caso di interventi di miglioramento su edifici “in muratura ordinaria” metteva nero su bianco: “Ove si proceda alla sostituzione di solai, questi devono essere del tipo in cemento armato ordinario o precompresso o solai misti con blocchi interposti in laterizio od altro materiale, ovvero in acciaio efficacemente ancorati alle estremità di cordoli. Qualora le murature portanti siano prive di cordoli armati in corrispondenza degli orizzontamenti, questi devono essere realizzati con altezze non inferiori allo spessore del solaio”.
“Obblighi di questo tipo hanno iniziato a essere introdotti negli anni successivi al sisma in Friuli del 1976 – spiega Riva -. Sono stati la norma finché il terremoto in Umbria del 1997 ha messo in evidenza che cordoli, solai e tetti eccessivamente rigidi e pesanti sono pericolosi se la muratura sottostante è di scarsa qualità. L’idea era di mettere qualcosa di simile a un coperchio indistruttibile sopra una scatola, con lo scopo di rafforzare la struttura della scatola stessa. Tuttavia in caso di terremoto il muro subisce delle sollecitazioni che lo spingono a staccarsi dal cordolo. Un cordolo molto rigido aumenta ancora di più le sollecitazioni nella muratura, provocando esplosioni localizzate nel caso di muri di scarsa qualità. Per quanto riguarda il tetto in cemento armato, invece, la sua massa elevata, in presenza di un terremoto, ha un effetto assimilabile a quello di un ariete sulla struttura sottostante, che può non essere in grado di resistere”. Così si sono avuti crolli con questo tipo di concause in Umbria, ma anche in Abruzzo nel 2009 e ora in Centro Italia in seguito all’ultimo terremoto. In alcuni casi questi interventi sono stati addirittura finanziati dalla regione, come denunciato da un abitante di Accumuli.
Ma come è possibile che tecnici e ingegneri abbiano preso un abbaglio del genere? “Mentre il cemento armato e l’acciaio sono stati studiati molto dal punto di vista del comportamento sismico, le cognizioni sul comportamento degli edifici in muratura non erano altrettanto avanzate, a parte per gli edifici in mattoni. In quegli anni non erano nemmeno disponibili strumenti di calcolo adeguati a studiare strutture dal comportamento fortemente non lineare come le murature in pietra. Per capirne l’effettivo comportamento, c’è voluta una prova sperimentale ineludibile, quella del terremoto del 1997”. Come dovrebbe comportarsi allora chiunque abiti in un edificio che ha subito interventi di questo tipo? “Dovrebbe fare controllare la qualità della muratura e degli incatenamenti. Se la muratura è di qualità discreta o buona, potrebbero non essere necessari ulteriori interventi, altrimenti è meglio pensare a un intonaco debolmente armato che aumenti la resistenza della muratura oppure a ulteriori incatenamenti”.
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