Quasi 2 milioni di euro di soldi regionali, e quindi dei cittadini, per sversare in tre fossi che sfociano in mare un disinfettante chimico “ammazza-inquinamento”. In Versilia, dove negli ultimi 40 anni non si è mai smesso di parlare di reflui fognari che finiscono direttamente nei corsi d’acqua, l’acido peracetico è l’ultima spiaggia. O, se la si vuole guardare da un altro punto di vista, l’ultimo di una serie di interventi tampone con cui negli anni si è cercato di tenere a bada la sporcizia proveniente da scarichi abusivi e fognature e depuratori inadeguati. Senza mai risolvere il problema alla radice. Così, sulla costa toscana del turismo vip (qui si trovano anche Viareggio e Forte dei Marmi), che ogni estate è alle prese con i divieti di balneazione temporanei legati ai livelli di batteri fecali fuori norma, si sono succeduti il cloro, i grossi tubi per spargere le acque sporche in mare aperto, il vizio di qualche sindaco di non imporre lo stop ai bagni anche in presenza di dati chiari di contaminazione, e alla fine l’acido peracetico, utilizzato nella cittadina versiliese di Pietrasanta fin dal 1998.
Dove tra l’altro, come certifica l’Agenzia per l’ambiente della Toscana (Arpat), “i superamenti dei limiti previsti dalle leggi vigenti (per la concentrazione di batteri fecali, ndr), che determinano i divieti di balneazione, si sono verificati anche quando quei trattamenti venivano effettuati”. Nonostante questo, il peracetico sarà presto al centro di una nuova sperimentazione finanziata con soldi regionali nel fosso dell’Abate a Camaiore e Viareggio e nei fossi Motrone e Fiumetto sempre a Pietrasanta. In un’atmosfera che il sindaco di Camaiore Alessandro Del Dotto, capofila del progetto di sperimentazione, definisce da “crisi di coscienza tra la necessità di salvaguardare l’ambiente e quella di salvaguardare la salute”. A cui va aggiunto un terzo fattore: la tutela dell’economia del turismo, incarnata qui da schiere di balneari imbufaliti a cui si sono aggiunti negli ultimi tempi anche alcuni pescatori preoccupati di ulteriori impatti su una rete già di per sé sempre più vuota.
Progetto “prioritario” ma ancora fermo dopo due anni – Per mettere fine agli allarmi che tornano ogni estate, dopo stanziamenti anche ministeriali precedenti, a fine agosto 2014 la Regione ha siglato con una serie di enti, tra cui i Comuni dell’area, un accordo da 38,6 milioni di euro. Il documento, però, già a un primo sguardo risulta curioso. Tra le “azioni prioritarie di immediata attivazione”, infatti, non ci sono gli interventi per adeguare le fognature e aumentare la capacità di depuratori, derubricati nella sezione “altre azioni”, ma solo gli altrettanto importanti controlli su scarichi abusivi e commistioni tra rete bianca e nera (all’origine di molte contaminazioni) e la famosa sperimentazione per “l’abbattimento della carica batterica” nei tre fossi. Che doveva essere sì prioritaria e di immediata realizzazione, ma a oltre due anni dalla firma dell’accordo non è ancora partita.
Colpa, dice Del Dotto, “delle procedure burocratiche, con rimpalli di responsabilità tra dirigenti, tecnici e funzionari che hanno allungato i tempi. Un anno e mezzo, poi, ce lo siamo mangiato nel rapporto con una ditta tedesca unica titolare del brevetto per la ionizzazione, che alla fine se ne è venuta fuori con richiese esose”. La ionizzazione sarebbe l’altro metodo, insieme all’acido peracetico, messo sul piatto dall’Università di Pisa in una relazione, pur tra mille incertezze su efficacia e tossicità per l’uomo e l’ecosistema dei due processi. Su entrambi i sistemi l’Arpat si è espressa con scetticismo, facendo sempre notare la loro natura di “rimedio temporaneo ed eccezionale in attesa della realizzazione degli adeguamenti strutturali necessari su scarichi abusivi, fognature, ecc.”. Nonostante i tanti punti interrogativi anche sulla ionizzazione, all’inizio i sindaci sono più o meno tutti d’accordo per testare questo nuovo sistema, che attraverso l’immissione in acqua di ossigeno ionizzato avrebbe dovuto sterminare i batteri fecali. Ma dopo mesi il dialogo con l’azienda tedesca si interrompe: “A quel punto siamo stati costretti a parlare di acido peracetico”, aggiunge Del Dotto. Anche se “costretti”, forse, non è la parola più adatta: forse si potevano cercare altre soluzioni, oppure destinare quei soldi direttamente a fogne e depuratori.
Una sostanza chimica per abbattere l’inquinamento – E invece ormai si imbocca la strada del peracetico, scegliendo in modo un po’ paradossale di utilizzare una sostanza chimica nelle acque per abbattere l’inquinamento. Senza considerare anche che sul peracetico l’Arpat nel 2014 era stata chiara, manifestando le sue perplessità verso questo composto chimico che non aveva evitato in passato i divieti di balneazione a Pietrasanta. Dubbi dovuti al fatto che il peracetico “non è previsto dalla normativa ambientale, può avere effetti collaterali sull’ambiente e può avere una certa efficacia sui microrganismi indicatori di contaminazione senza necessariamente eliminare tutti quelli patogeni, rimuovendo il segnale di pericolo, ma non il rischio effettivo” per la salute.
Dalla Regione fanno sapere che “è fuorviante fare paragoni con la tecnica applicata sei anni fa a Pietrasanta. Da allora sono cambiate la normativa prima di tutto, e si è evoluta molto la metodologia. Gli impianti usati oggi hanno caratteristiche del tutto nuove e avanzate, a cominciare dalla strumentazione per le valutazioni degli effetti e le complesse analisi dei parametri ambientali. Raffinati e diversi anche i metodi di verifica per i quali, ad esempio, è stata coinvolta anche l’Università di Pisa con il dipartimento di Biologia che farà gli esami sui parametri ambientali biologici della flora e della fauna”. All’inizio il peracetico verrà sversato solo nelle vasche dove finiscono le acque bianche, per abbattere quella contaminazione che deriva da commistione con la rete delle nere. Solo dopo la sperimentazione proseguirà negli alvei dei fiumi. Il sindaco di Camaiore lo ha ripetuto più volte: “Al primo segnale che qualcosa non va, si blocca tutto”. Così si rischia di spendere quasi 2 milioni di euro per costruire in tutto cinque impianti che potrebbero funzionare anche meno dei 12 mesi previsti dalla Regione per la sperimentazione. Intanto Del Dotto ha deciso di proporre a Renzi un grande piano per la qualità delle acque. “Potrebbe essere finanziato con i soldi europei in arrivo per questo scopo”, dice. Con un’abilità comunicativa che non teme quella del premier, ha già pensato anche al nome: “Lo chiamerei Acqua Azzurra, come la canzone di Battisti”.