Il lavoro di agente immobiliare poteva svolgerlo anche in Italia. Ma farlo dove la qualità della vita è “mille volte superiore è meglio”. Filippo Delledonne, piacentino di 37 anni, vive da dieci a Capo Verde. La prima volta sull’isola di Boavista risale al dicembre del 2005. Per caso: “Mi aveva invitato un carissimo amico a passare una settimana di vacanza”, racconta. Sette giorni per capire che il suo futuro sarebbe stato lì. “Mi sono innamorato immediatamente del posto, del clima, della gente, e ho compreso come qui avrei potuto vivere meglio”.
Perché lì la qualità della vita era migliore rispetto all’Italia. “La temperatura è ideale. Le spiagge sono tre le più belle del mondo. E le persone accoglienti e sempre sorridenti”. Altra condizione non di poco conto: l’assenza di conflitti etnico-religiosi. All’inizio la nuova vita da isolano non è stata semplice. La lingua, prima di tutto. “Nel mio lavoro i contatti sono essenziali”. Dopo il lavoro, la sera Filippo si ‘trasformava’ in un capoverdiano. “Mischiandomi con la gente di Boavista, in poco tempo sono diventato uno di loro”. E così ha risolto il problema del portoghese, imparato sul campo.
Mischiandomi con la gente di Boavista, in poco tempo sono diventato uno di loro”
Sul fronte lavorativo, invece, è stato fondamentale capire come vivevano autoctoni e turisti. “I locali hanno i terreni da vendere, i turisti il capitale per acquistarli”. Nei primi primi mesi sull’isola ha lavorato come accompagnatore turistico. E durante le escursioni mostrava gli immobili in vendita. “Ho a che fare tutti i giorni con persone che sono in vacanza e non sotto stress, a differenza di chi in città compra case con mutui al 110% e poi ci mette una vita prima che l’immobile diventi davvero suo”.
Dopo due gemelle, Greta e Sofia, avute dalla precedente compagna, ha avuto Edoardo con Alodie, la sua compagna capoverdiana. “Sono davvero felice – dice -. Felice che mio figlio possa vivere in posto dove vedi gruppi di bimbi che si parlano in tre lingue, dove può giocare liberamente in riva al mare e vedere il sole tramontare nell’oceano. Tutto questo dal giardino di casa”. Oggi le difficoltà dei primi tempi sono state superate e il lavoro funziona bene. D’altra parte esempi di italiani che hanno creato piccole e grandi attività di successo non mancano anche se, dice, “purtroppo abbiamo più esempi di esperienze negative”. E spiega: “Ad un ragazzo che parte senza nulla da perdere direi: provaci, impari ad arrangiarti e fai una bella esperienza di vita. Cosa diversa è vendere tutto, trasferirsi e aprire un ristorante sulla spiaggia. In questo caso c’è il rischio di mandare tutto all’aria, come è successo ad amici”.
Sono felice che mio figlio possa vivere in posto dove vedi gruppi di bimbi che si parlano in tre lingue e può giocare liberamente in riva al mare”
Filippo ricorda lo spirito di solidarietà dei primi tempi, quando tanti italiani come lui erano arrivati a Capo Verde in cerca di fortuna. “Poteva capitare che per giorni mancassero luce e acqua. E si mangiassero solo pesce e formaggio di capra. Superare assieme le difficoltà quotidiane ha instaurato rapporti intensi, veri”. La famiglia erano gli amici. Se qualcuno stava male si faceva gruppo per comprare le medicine. Si festeggiavano i successi professionali e si condividevano i problemi economici. Del Belpaese a Filippo manca solo la cucina: “Ma tutte le volte che torno ne approfitto per riassaporarla”.
Twitter: @bacchettasimone