Il giudice ha accolto la richiesta di archiviazione della Dda nei confronti del consigliere regionale che avevano trasmesso gli atti alla procura di Santa Maria Capua Vetere qualificando i fatti addebitati all'esponente politico ipotizzando il reato di violazione della legge elettorale
L’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa era di fatto caduta già a luglio quando la Dda di Napoli aveva chiesto l’archiviazione al giudice per le indagini preliminari. Oggi il gip di Napoli ha accolto l’istanza dei pm e per Stefano Graziano, ex presidente del Pd in Campania, si chiude una parte della vicenda giudiziaria che aveva scatenato una bufera politica sui democratici. Il 26 aprile scorso al consigliere era stato notificato un decreto di perquisizioni in cui si contestavano “favori al clan Zagaria in cambio di appoggi elettorali”.
Scrivevano gli inquirenti: “Ha chiesto e ottenuto appoggi elettorali con specifico riferimento alle ultime consultazioni per l’elezione del Consiglio regionale della Campania. L’appoggio elettorale è stato richiesto e ottenuto in rapporto sinallagmatico con l’impegno da parte del politico di porsi come stabile punto di riferimento politico e amministrativo dell’organizzazione camorristica denominata clan dei Casalesi fazione Zagaria“. A cui, secondo gli inquirenti, appartiene Alessandro Zagaria, imprenditore che era finito in manette insieme ad altri indagati. E che intercettato parlava di e con Graziano.
Il consigliere si era immediatamente autosospeso dichiarandosi totalmente estraneo e oggi in una nota esprime ”la propria gratitudine ai magistrati per la celerità con cui è intervenuto il provvedimento definitivo che esclude in maniera netta, come dallo stesso sempre dichiarato, il suo coinvolgimento nella vicenda oggetto di indagine”. Una vicenda non ancora del tutto chiusa però perché se è vero che per l’esponente democratico questo reato è caduto resta quello di violazione delle legge elettorale.
Lo scorso 25 luglio i pm della Dda avevano disposto l’invio degli atti per competenza territoriale alla procura di Santa Maria Capua Vetere (Caserta) qualificando i fatti addebitati non più come indicativi di una presunta collusione con il clan, bensì ipotizzando appunto il solo reato di violazione delle legge elettorale (non aggravato dall’articolo 7, ovvero dalla finalità mafiosa) di competenza della procura casertana.
La posizione di Graziano era stata quindi stralciata da quella di altri indagati, tra i quali l’imprenditore Alessandro Zagaria – ritenuto legato alla cosca capeggiata dal boss Michele Zagaria (solo omonimo), del clan dei Casalesi – l’ex sindaco di Santa Maria Capua Vetere Biagio Di Muro nonché alcuni funzionari del Comune. L’ipotesi di collusione, poi caduta, si reggeva in particolare sui rapporti tra Graziano e Alessandro Zagaria che, come emerge dalle intercettazioni telefoniche e dai pedinamenti svolti nel corso delle indagini, gli aveva assicurato l’appoggio elettorale per le regionali 2015, che si conclusero con un notevole successo personale di Graziano.
I legali Michele Cerabona e Antonio Villani, contattati dal fattoquotidiano.it, esprimono soddisfazione e attendono di conoscere il pm titolare del fascicolo a Santa Maria per poter far interrogare Graziano come era già avvenuto con i pm dell’Antimafia di Napoli. “Ci ripromettiamo di chiarire tutti gli aspetti che sono di competenza della procura” dice Cerabona, l’archiviazione “è il naturale epilogo di questa vicenda – commenta Villani – perché è nei fatti, nelle carte e nelle cose. In tempi rapidi la magistratura ha chiuso questa vicenda. L’accordo con Zagaria non c’è e non c’è mai stato. Non c’era nessun tipo di riscontro“.
Il filone principale dell’inchiesta riguarda i lavori di ristrutturazione dello storico palazzo Teti Maffuccini a Santa Maria Capua Vetere, un appalto finito al centro di un giro di tangenti. Graziano si sarebbe adoperato perché non venissero persi i finanziamenti, impegnandosi a farli trasferire in un diverso capitolo di spesa: una iniziativa comunque non ritenuta illecita dagli inquirenti. Anche perché, come sostenuto davanti ai pm da Graziano, erano 384 i casi e il finanziamento era stato soltanto “spostato”. E comunque non è bastato a sostenere l’accusa una telefonata di ringraziamento intercettata e un incontro documentato. Per la difesa non un incontro “ma un passaggio davanti a un comitato elettorale. Nessun c’era nessun accordo”.