Déjà vu. Una donna, una ragazza o poco più che bambina, denuncia uno stupro ma viene sottoposta ad un processo. Da vittima diventa colpevole. “Se l’è cercata”: è la pietra tombale che viene calata sulla richiesta di giustizia delle donne. Parole indecenti tessono la gogna nella quale la vittima viene esposta al disprezzo della comunità. Al posto della condanna della violenza, la solidarietà agli stupratori. Nei centri antiviolenza conosciamo innumerevoli storie di donne che dopo aver denunciato uno stupro hanno lasciato la città dove vivevano per i giudizi che la comunità aveva scagliato loro addosso. Parole come pietre per colpire le donne che svelano l’indicibile e si sottraggono al silenzio.
Nelle associazioni che tutelano le donne vittime di violenza è esplosa l’indignazione. Titti Carrano, presidente D.i.Re ha invitato la ministra Boschi ad andare al più presto a Melito Porto di Salvo: “Nel Paese italiano dove una ragazza di 16 anni, di un metro e 55 per 40 chili è stata violentata da un branco di nove giovani maschi fin da quando era una bambina di 13 […] le operatrici del centro antiviolenza Roberta Lanzino di Cosenza erano andate a formare le donne della Fidapa di Melito, artiste, professioniste, imprenditrici, preoccupate per il clima di violenza e intimidazione e determinate ad aprire uno sportello contro la violenza alle donne. Anche la scuola ha fatto il suo dovere, accorgendosi della tragedia che accadeva e ascoltando la ragazza. Eppure queste cittadine e questi cittadini ora rischiano l’isolamento”.
Su La Stampa, Niccolò Zancan ha raccontato che alla fiaccolata organizzata (e biasimata dalla comunità di Melito) contro la violenza, si sono presentati in poche centinaia, in larga parte provenienti da altri paesi della Calabria. Ben poca solidarietà è arrivata da parte delle figure istituzionali che hanno il dovere di difendere la legalità e la dignità umana e senza indugio dovrebbero condannare la violenza con parole forti e chiare. I parroci di Melito han fatto il bis: Domenico di Biase ha praticato il cerchiobottismo: “Son tutte vittime, anche i ragazzi” (quindi nessun responsabile) ed ha usato parole biforcute rammaricandosi che su questa vicenda non sia calato il silenzio, il secondo parroco, Benvenuto Malara invece ha detto “In paese c’è molta prostituzione” offendendo la verità e rendendo evidente che tutto ciò che sa dello stupro l’ha appreso dalla Bibbia. Forse sarebbe meglio che i parroci di Melito tacessero.
Il sindaco Giuseppe Meduri invece, è salito sul palco per attaccare una giornalista del Tgr Calabria, colpevole di aver raccolto e divulgato i giudizi lapidari dei compaesani schierati contro la ragazza e a difesa degli uomini accusati di stupro. Ha detto: «Certe ricostruzioni uscite sul servizio pubblico ci hanno offesi». Quando le offese sono lo stupro, la solidarietà con gli autori di stupro, le ingiurie per le donne che denunciano le violenze e l’eterno e implacabile invito al silenzio che continua ad essere loro rivolto. Un silenzio che è doveroso spezzare.
@nadiesdaa