Media & Regime

A Linkiesta.it mancano 550mila euro: la svolta renziana non è servita

La svolta renziana non è servita. Perché Linkiesta.it, quotidiano on line che tre anni fa visse una drammatica frattura politica tra la redazione, il suo direttore e il nocciolo duro, di fede renziana, della governance, anche quest’anno ha chiuso i conti con una pesante perdita.

Le condizioni economico-finanziarie del quotidiano on line nato appena cinque anni fa, come emerge dal bilancio 2015 depositato negli scorsi giorni, appaiono davvero preoccupanti: le perdite, pari a 615 mila euro, sono di poco inferiori a quattro volte il volume di ricavi realizzato, in lieve crescita sul 2014; i debiti ammontano a circa 380 mila euro, in calo sull’esercizio precedente (666 mila) per effetto del drastico taglio operato sui costi operativi, a partire da quelli del personale, ormai ridotto a pochissime unità; mentre il capitale sociale è stato nuovamente azzerato dal disavanzo maturato e il patrimonio netto, negativo, è pari a 183 mila euro. Dato questo, in presenza del quale, i soci saranno presto chiamati, per l’ennesimo esercizio consecutivo, a mettere mano al portafoglio. Obiettivo: il ripristino inderogabile del capitale sociale. Mossa, questa, dallo sbocco positivo non scontato, considerando l’esito fallimentare dei precedenti aumenti di capitale. È la stessa Nota Integrativa del bilancio a fotografare il quadro. «In data 25 settembre 2015 – si legge – l’assemblea dei soci ha deliberato un aumento di capitale […] per euro 395.473, con conseguente riduzione dello stesso ai minimi di legge (50.000 euro) ed un successivo aumento di capitale […] per euro 400.000».

Ma, come riporta la Nota stessa, il primo aumento è stato sottoscritto per soli 150 mila euro, mentre il secondo è stato sottoscritto per poco meno di 95 mila euro: all’appello, mancano, insomma, più di 550 mila euro. Elemento questo, che lascia ben immaginare quale sia il clima, non certo improntato all’ottimismo, tra i soci de Linkiesta.it. Soci che non devono aver preso bene le notizie, messe nero su bianco nella relazione accompagnatoria del bilancio 2015, sulle ulteriori perdite accumulate nei primi mesi del 2016 e sulla certezza che anche quest’anno i conti si chiuderanno in rosso. «Nel corso del periodo gennaio-31 marzo 2016, inoltre, si sono generate ulteriori perdite per complessivi 145.731 euro […] e il Consiglio d’Amministrazione prevede che l’esercizio 2016 si chiuda ancora in perdita», scrivono infatti gli estensori della Nota Integrativa.

Di qui la proposta, formulata dal CdA – composto, tra gli altri, dall’ex presidente dei giovani industriali Anna Maria Artoni, dall’avvocato d’affari Fabio Coppola e dal commercialista Andrea Tavecchio, ex fidanzato della stessa Artoni e consulente di Tommaso Nannicini alla Presidenza del Consiglio – di revocare il secondo aumento di capitale per la parte ancora non sottoscritta, ridurre a zero il capitale sociale e deliberare un nuovo aumento di capitale, fino ad un valore massimo pari a 400 mila euro.

Ad appena cinque anni dalla sua nascita, complice l’aria pesante che tira nel mondo dell’editoria, Linkiesta.it potrebbe essere abbandonata al suo destino, come si mormora tra soci di peso del quotidiano on line. Che potrebbero presto seguire l’esempio di Alessandro Profumo, socio della prima ora de Linkiesta e unico azionista ad aver recuperato il capitale investito, esercitando il diritto di recesso previsto dallo statuto poco prima che scadesse.

Il cambio di clima a cui l’ex direttore Jacopo Tondelli fece riferimento nel suo post di addio e il conseguente cambio di linea politica, non sono dunque serviti a raddrizzare i conti traballanti del giornale. Semmai a dilapidare, in pochissimo tempo, il patrimonio di credibilità costruito fino alla rottura tra redazione e governance. Avvenuta, vale la pena ricordare, per via di una famosa cena: quella di raccolta fondi per Matteo Renzi, organizzata a Milano nell’autunno del 2012 da Davide Serra e che vide tra i più entusiasti partecipanti alcuni soci de Linkiesta. Primo fra tutti Guido Roberto Vitale, allora editore di riferimento de Linkiesta, già presidente di Rcs e tutt’ora grande attore dei salottini finanziari in salsa italica.

A Vitale e ad alcuni tra gli azionisti di primo piano de Linkiesta.it non andò giù un articolo del giornalista Michele Fusco sulla cena. “Però che tristezza la Milano che conta in fila per Renzi” – questo il titolo del pezzo – fu un pugno nello stomaco alla buona borghesia meneghina, che sgomitò per essere presente all’evento. «Milano un po’ troppo subalterna al politico di turno – scrisse Fusco – fa una certa impressione e in questo assalto alla diligenza Renzi ci dev’essere senz’altro una parte di rancore anche piuttosto pronunciato nei confronti del Partito Democratico, almeno per come lo abbiamo conosciuto sino a oggi. Questi signori borghesi lo considerano ancora comunista, questo è evidente, e hanno timore che con un Bersani segretario e un Vendola stretto alleato le cose potrebbero precipitare».

@albcrepaldi