Ci sono i beni dei Savoia, ma anche il tesoretto sequestrato a Benito Mussolini e alla moglie Rachele. Sacchi di denaro, candelieri e posate d’argento con lo stemma della casa reale, lingotti d’oro e di platino. E poi, gemme e rubini, bottoni in oro, collier, spille, anelli, onorificenze militari e cavalleresche tempestate di brillanti. Tutto ancora da inventariare e valutare. Dopo decenni di trascuratezze, attesa per la risposta del governo in commissione Finanze
Finalmente il governo darà una risposta. O almeno si spera. Sui sacchi di banconote. Insegne smaltate, placchette in avorio, monili, candelieri e posate d’argento con lo stemma dei Savoia. Orologi di pregio. Francobolli. Lingotti d’oro e di platino. E, ancora, su gemme e rubini, bottoni in oro, collier, spille, anelli, onorificenze militari e cavalleresche tempestate di brillanti. Insomma, una risposta sul tesoro dimenticato nei caveaux della Banca d’Italia: 419 plichi «contenenti beni di diversa natura e provenienza» che dal 1999 riposano nei sotterranei della succursale di via dei Mille, suddivisi in 2.087 bisacce di dimensioni variabili tra i 2 e i 50 litri. Cosa c’è lì dentro? E quanto vale? «Con esattezza non lo sa nessuno», assicura il senatore Giuseppe Vacciano, ex M5S, che da mesi interroga il ministro Piercarlo Padoan per sapere «quali iniziative intenda assumere» per garantire l’inventario di tutto quel ben di dio. Oggi pomeriggio (13 settembre ndr), finalmente, in commissione Finanze forse il Mef fornirà qualche chiarimento prendendo anche degli impegni. Rispondendo proprio all’interrogazione di Vacciano.
PEZZO DI STORIA – E già, non si tratta di bruscolini ma di reperti di grande valore. Non solo economico: «C’è per esempio il tesoretto sequestrato a Mussolini mentre fuggiva in Svizzera, nell’aprile del ’45, insieme a Claretta Petacci», spiega l’ex parlamentare grillino. «C’è la tuta da meccanico che indossava Claretta quando i partigiani l’hanno catturata. Ci sono i gioielli e i beni sequestrati a donna Rachele Mussolini, anche lei in fuga, a Villa Manterio a Como. Ci sono i beni dei gerarchi fascisti arrestati dopo l’8 settembre, gli argenti lasciati dai Savoia quando hanno lasciato il Quirinale, l’oro donato alla patria… In quei 419 plichi c’è un pezzo di storia d’Italia che i cittadini hanno il diritto di poter vedere valorizzato in un museo».
MISTERO APERTO – Su 419 depositi, finora, ne sono stati aperti e catalogati solo 59. Cosa ci sia negli altri 360 è più o meno un mistero. Gli oltre 2000 sacchi, tutti regolarmente muniti dei sigilli del Mef, si sono accumulati a via dei Mille a partire dal 1999, quando il servizio di tesoreria dello Stato è passato alla Banca d’Italia. Alcuni plichi, secondo Vacciano, recavano quantomeno delle «indicazioni approssimative» sul contenuto. E sono stati i primi a essere aperti e catalogati quando, tra il 2005 e il 2006, nei sotterranei è stato autorizzato a scendere in ricognizione un team di funzionari di Bankitalia, del Mef e Mibact.
AVANTI SAVOIA – Da quei sacchi è uscito un mondo intero: «Oro donato alla patria, beni appartenuti ai prigionieri di guerra e alla comunità italiana di Salonicco, corpi di reato, effetti personali rinvenuti tra le macerie del terremoto di Reggio Calabria del 1908» oltre a «titoli azionari della costruenda Baghdadban, la ferrovia Berlino-Costantipoli-Baghdad», documenti sul prestito Morgan, orologi di marca, lingotti e diamanti. A colpire l’immaginazione sono però soprattutto i resti delle argenterie di casa Savoia (servizi da tavola, vassoi, candelieri, portasigarette, astucci, posate più o meno scompagnate) e i tesoretti sequestrati ai gerarchi fascisti in fuga. A partire da quello di Mussolini, che oltre al collare della Santissima Annunziata, massima onoreficenza di casa Savoia, portava con sé (come da elenco Bankitalia) una «decorazione ritenuta persiana in oro, argenti brillanti rosette di diamanti e smalto», un’altra « in oro platino brillanti del terzo Reich», una «decorazione tedesca dell’aquila con spade, in oro platino brillanti e rosette», una decorazione con aquila bicipite con stella in brillanti oro e platino e relativa collana», più una «medaglia in argento dorato con Gesù bambino». Non meno ricco, in oro e gioielli, il bottino sequestrato a donna Rachele e depositato nel 1945 alla filiale di Como della Banca d’Italia.
MANCANZA D’ETICHETTA – «Durante il lavoro di catalogazione il reale valore di molti cimeli, a partire dalle pietre preziose, non è neanche stato stimato», scuote però la testa il senatore Vacciano. Il motivo? Le stringenti procedure di sicurezza per l’accesso ai sotterranei corazzati di via dei Mille rendevano troppo complicato l’accesso ad eventuali esperti in grado di stimare il tesoro. Ancora oggi, dopo dieci anni, non se ne conosce il valore: andata in pensione, nel 2007, la dirigente del Mef che aveva avviato la catalogazione, si è fermato tutto. E di ben 50 depositi privi di etichetta e di documentazione non si ha nemmeno la più vaga idea del contenuto.
MINISTERO DORMIENTE – Ma come scoprirlo? Chi può far ripartire la ricognizione e decidere sul futuro di quei sacchi? La Banca d’Italia ha solo il dovere di custodire i beni, «per cui non può disporre del contenuto dei plichi e nemmeno avanzare richieste in merito», spiega a ilfattoquotidiano.it Claudio Sperandio, il funzionario del Dipartimento del tesoro che, scartabellando tra le vecchie pratiche del Mef, si è appassionato all’idea di rendere fruibile quel fantastico materiale storico. Mentre Vacciano combatteva sul fronte parlamentare, nei mesi scorsi Sperandio ha scritto perfino al Quirinale, all’ufficio per la conservazione del patrimonio artistico, «nella speranza che un intervento della presidenza della Repubblica sbloccasse la situazione»: niente da fare, è stato rinviato al ministero dei Beni Culturali, che a sua volta si è chiamato fuori perché ogni competenza sui famosi sacchi spetta al Mef. Ed eccoci finiti di nuovo al punto di partenza: tutto bloccato. «Solo il ministero dell’Economia può decidere su apertura, ricognizione, catalogazione, possibile destinazione a un museo o messa in vendita del materiale meno interessante dal punto di vista storico», denuncia Vacciano. E il Mef, in questi dieci anni, ha preferito dormirci su.