Simonetta Musso è nata a Roma e ha 47 anni. Dal 2004 vive nel Paese africano e insieme al marito ha aperto un'azienda che si occupa di formazione del personale e gestione di logge per turisti. "In Italia volevo fare la prof universitaria. Ma tra raccomandati e mancanza di fondi era impossibile"
“Volevo insegnare all’Università, relazioni internazionali dell’Asia. Ma dopo un paio di tentativi ho perso la voglia di fare un Phd, soprattutto perché mi sono accorta che c’è molto nepotismo nei nostri atenei ed erano in tanti in fila ad aspettare un posto”. Simonetta Musso è nata a Roma e ha 47 anni. Oggi, il sogno di diventare professoressa universitaria appare molto lontano, così come l’orizzonte degli infiniti paesaggi della Namibia, paese africano dove vive dal 2004. Lì, insieme al marito, ha aperto un’azienda che si occupa di formazione del personale e gestione di logge per turisti. “L’idea è che un giorno le comunità locali portino avanti la loro impresa turistica da soli. Noi, oltre che della formazione del personale, ci occupiamo principalmente di marketing e supervisione esterna, per assicurarci che gli standard del servizio rimangano alti”.
Una scelta di vita, quella di Simonetta, che è partita da lontano: “Già prima di laurearmi ero stata in Cina nel ’92, per un anno accademico all’Università del Popolo di Pechino. L’Italia già mi andava un po’ stretta, ma avevo voglia di insegnare e così decisi di provare a ottenere una borsa di studio per un dottorato”. Però, dopo vari tentativi andati a vuoto, nel 1994 Simonetta decide di rinunciare all’Italia: “Tra raccomandati e mancanza di fondi era davvero impossibile”. Poi arriva una borsa di studio dal Soas di Londra per un master in Relazioni internazionali dell’Asia e dell’Africa. “Erano altri tempi – racconta – ma dopo la laurea ho subito trovato posto nel ramo della comunicazione a Standard & Poor’s”.
Otto anni nella City a occuparsi di finanza, praticamente al centro del mondo. “Lavoravo molto e nel 2000 partii per una vacanza di due settimane in Namibia per rilassarmi un po’ e riscoprire me stessa”. Basta poco per innamorarsi di un luogo: i contrasti, le tempeste di colori e quei paesaggi infiniti. “E’ praticamente l’unico paese dove rinoceronti, elefanti, leoni e ghepardi coabitano ancora con le popolazioni locali e non sono chiusi in parchi naturali. Ma a colpirmi, oltre a tutto questo, è stato soprattutto il modo di vivere di questa gente, cordiale e genuina”.
Nulla a che vedere insomma col grigiore e l’impostazione del distretto finanziario londinese. E durante quel viaggio Simonetta ha conosciuto Dominic, un ragazzo sudafricano con i suoi stessi interessi. Oggi è suo marito. E nel 2004 il richiamo dell’Africa diventa troppo forte: “A quel tempo la Namibia aveva bisogno di persone che aiutassero le varie comunità locali a stabilire imprese turistiche in varie aeree rurali e alleviare il livello di povertà”.
Simonetta e Dominic decidono di aprire la loro società: “Io non avevo un background nel turismo, però sentivo che avrei potuto offrire qualcosa con la mia esperienza, anche se in un campo totalmente diverso. Non è un lavoro semplice, molte delle persone che formiamo hanno solo la licenza elementare”. Dopo 12 anni in Namibia e 22 all’estero, l’Italia potrebbe sembrare un ricordo sbiadito di un passato che non c’è più: “Mi manca il cibo, perché a certe cose non ci si abitua, soprattutto il gelato, e poi ovviamente la mia famiglia”.
Eppure in quel pezzo di paradiso terrestre è difficile pensare di poter vivere altrove: “Qui è nato mio figlio Lorenzo e questa è a tutti gli effetti casa nostra. La Namibia è un paese bellissimo ed è un perfetto esempio di come razze e tribù diverse riescono a vivere insieme in armonia e non avere i problemi post-apartheid che ancora sussistono in Sudafrica”. E pazienza se il sogno nel cassetto di insegnare relazioni internazionali non si sia realizzato: “Fossi rimasta in Italia starei ancora a barcamenarmi come assistente di qualche professore, praticamente gratis, in un polveroso ufficio in attesa di una cattedra ordinaria. No, grazie”.
Di Alessandro Camagni