Il sottosegretario alle Comunicazioni Antonello Giacomelli ha ufficializzato il rinvio. Che arriva dopo quello deciso per la cessione del 40% di Fs. Il Documento di economia e finanza prevedeva che mettendo sul mercato quote di aziende pubbliche e immobili lo Stato ottenesse 8 miliardi con cui ridurre il debito. Ma l'obiettivo è molto lontano
Marcia indietro del governo sulla seconda tranche di privatizzazione di Poste Italiane, che era attesa per quest’anno dopo la quotazione andata in porto nel 2015. A ufficializzarlo, dopo le indiscrezioni riportate domenica da Repubblica, è stato il sottosegretario alle Comunicazioni Antonello Giacomelli, che durante un convegno ha detto: “Mi pare sia prevalsa l’idea che non c’è una necessità di operazioni di questo tipo” perché l’azienda “ha ulteriori potenzialità espansive (sta valutando la presentazione di un’offerta per Pioneer, la società di gestione del risparmio di Unicredit, ndr) che verranno specificate nelle prossime settimane”.
Il rinvio dell’operazione, a cui si opponevano sindacati e M5S, farà però venir meno un introito stimato in poco meno di 2 miliardi. Con il risultato che l’esecutivo, nella nota di aggiornamento del Def attesa per il 27 settembre, dovrà rivedere fortemente al ribasso (oltre al tasso di crescita del pil) anche i proventi attesi dalla cessione di quote di aziende e immobili pubblici. Soldi che avrebbero dovuto contribuire a ridurre il debito, salito a quota 2.248 miliardi di euro.
Il Documento di economia e finanza presentato la scorsa primavera fissava l’obiettivo delle privatizzazioni nello 0,5% del pil, pari a circa 8 miliardi. Finora però il risultato si limita ai circa 800 milioni ricavati dal collocamento in Borsa di Enav più i 500 andati al Tesoro sui 953 milioni ricavati dalla vendita Grandi stazioni retail. La cessione del 40% di Ferrovie dello Stato dovrà a sua volta attendere l’anno prossimo. Quanto alle dismissioni del patrimonio immobiliare, resta da vedere se i ricavi supereranno il miliardo di euro come prevede la tabella del Def per il 2016, considerato che negli ultimi anni i risultati a consuntivo sono stati sempre diversi da quelli previsti e che le cifre comprendono tra l’altro mere partite di giro tra enti pubblici. Mancheranno comunque all’appello almeno 5,7 miliardi.
Già lo scorso aprile l’Ufficio parlamentare di bilancio aveva messo in guardia dal rischio che gli obiettivi si rivelassero irraggiungibili: “Il profilo quantitativo degli introiti previsti da privatizzazioni”, aveva ammonito Alberto Zanardi, membro dell’organismo chiamato a vigilare in modo indipendente sui conti pubblici, in audizione sul Def davanti alle commissioni bilancio, “risulta molto ambizioso e non vi sono al momento informazioni sufficienti per valutare se il programma di privatizzazioni del governo, e quindi la dinamica di discesa del debito, sia credibile. Questo pone un elemento di rischio nel quadro di programmazione”.