In questi giorni, conoscendo il mio amore per Firenze, alcune persone mi hanno chiesto cosa pensassi dell’ultima provocazione (o profanazione) alla città: l’installazione cinese di gommoni a Palazzo Strozzi. Premetto che apprezzo l’arte moderna e persino alcune estemporanee ed effimere espressioni di rottura, ma quando ho visto le foto sono rimasta sconcertata e mi sono chiesta cosa ci fa un sindaco o una soprintendenza se non riescono a far rispettare un simbolo della città.
Perché Palazzo Strozzi non è solo un importante palazzo rinascimentale, ma fu determinante per il nuovo assetto urbanistico della città e di quello che, come ho ricordato più volte, è l’esempio di come l’edilizia può diventare architettura. Palazzo Strozzi, attribuito a Benedetto da Maiano, fu fortemente voluto nel 1489 da una famiglia di banchieri con una forte propensione al mattone (dei “palazzinari” spregiudicati e illuminati ante litteram) precursori del feng shui per via della richiesta di astronomi per i giorni propizi alla costruzione ed alla giusta posizione.
Il Palazzo è tra l’altro attualmente sede principale del Gabinetto Viesseux la più ricca collezione in lingua originale (in francese e inglese di ambito storico letterario dell’Otto–Novecento, di narrativa, viaggi, memorie, biografie), documentando il carattere europeo di questa biblioteca, unica nel suo genere non solo a Firenze, ma anche in tutto il territorio nazionale, conosciuta e riconosciuta a livello mondiale.
Ma tornando all’oggetto del mio intervento, vorrei anche sapere quale metodo abbiano usato per appendere le plasticose installazioni (ah, un suggerimento per la giunta a Natale: non dimenticatevi di appendere i Babbi Natale per ricordare un importante e simbolico evento cristiano), perché o li hanno staffati o incollati, e quest’ultima soluzione non la credo plausibile perché avrebbero messo a rischio l’integrità dell’”opera d’arte”.
Ma scherziamo? E visto il “valore politico” proporrei anche al custode di stendere i panni lavati, sarebbe un – bel messaggio di pulizia – e da lì chiunque abbia fantasia può sbizzarrirsi. Il fatto più inquietante è che alcuni “possibilisti” su queste – chiamiamole – espressioni artistiche, sono pronti poi a lanciare strali per l’uso, anche temporaneo, nelle sale dei palazzi storici di eventi che, come sempre ricordo, essendo edifici sono stati costruiti per essere vissuti, ovviamente con tutte le cautele e rispettandone la dignità. Ma se una manifestazione rispettabile assume minimamente vesti anche commerciali non va bene, mentre se ha una parvenza “pseudoartistica”, allora sì?
Non c’è però peggior consigliere che l’ansia di volere giustificare ogni improvvisazione come un forte richiamo alla centralità del messaggio o ancor peggio alla visibilità e all’onore che questi “artisti” ci attribuiscono nel volersi concedere nelle nostre città con le nostre architetture che altrimenti non potrebbero essere conosciute nella loro straordinaria bellezza.