Alessandro Bozzo era stato costretto a dimettersi e ad accettare un contratto a tempo determinato. Il sostituto procuratore di Cosenza Maria Francesca Cerchiara aveva chiesto 4 anni per violenza privata definendo una “feroce” il trattamento subito dalla vittima. Stando ai diari del cronista, il motivo dello scontro stava negli articoli sulla malapolitica
“Aspettiamo una sentenza di verità”, aveva affermato il procuratore di Cosenza Mario Spagnolo il giorno della requisitoria in cui il sostituto procuratore Maria Francesca Cerchiara aveva chiesto quattro anni di carcere per l’editore di “Calabria Ora” Piero Citrigno. Anche se con una pena che delude le aspettative della Procura, la sentenza è arrivata nel primo pomeriggio di oggi, mercoledì 14 settembre, quando il Tribunale di Cosenza ha condannato l’imputato a 4 mesi di reclusione al termine del processo che lo ha visto imputato con l’accusa di violenza privata nei confronti del giornalista Alessandro Bozzo che, nel marzo 2013, si è suicidato sparandosi un colpo di pistola alla testa mentre era solo a casa.
“Quattro mesi” che lasciano l’amaro in bocca ai familiari e ai colleghi di Bozzo. Soprattutto dopo la ricostruzione del pm secondo cui c’è stata una “violenza privata feroce” commessa dall’editore di “Calabria Ora” che aveva costretto Bozzo a dimettersi e ad accettare un contratto a tempo determinato. Un contratto che lo stesso Bozzo aveva definito ai suoi colleghi “un’estorsione”. Purtroppo era questa l’unica condizione per continuare a lavorare per il giornale diretto all’epoca da Piero Sansonetti, oggi direttore del “Dubbio”.
Lapidaria la sorella del giornalista, Marianna Bozzo che, con i genitori, ha atteso in Tribunale fino alla decisione dei giudici: “Quattro mesi non è la sanzione adeguata per il reato che lo stesso Tribunale ha certificato con questa sentenza. Aspettiamo naturalmente le motivazioni, ma il pm aveva chiesto il massimo della pena. In realtà Citrigno non farà un giorno di carcere per mio fratello. Ha giocato con la dignità dei giornalisti e potrà continuare a farlo”.
Stando alla ricostruzione della Procura, a cui i genitori di Bozzo hanno consegnato i diari che il figlio custodiva in redazione, Citrigno non gradiva gli articoli in cui Bozzo denunciava la malapolitica cosentina. Gli argomenti che dovevano andare in pagina li decideva sempre l’editore Citrigno, già condannato per usura aggravata dalle modalità mafiose e sotto processo, sempre davanti al tribunale di Cosenza, anche per bancarotta fraudolenta della società editrice di Calabria Ora. Si tratta della stessa operazione per la quale a Bozzo era stato chiesto di firmare le dimissioni e cambiare il contratto a tempo determinato. “Citrigno di fatto non ha mai licenziato Bozzo né lo ha mai detto a lui direttamente. – ha affermato l’avvocato Stajano, difensore dell’editore – Quel diario è l’anima di un uomo disperato per varie ragioni”.
Nella sua replica il pm Cerchiara ha ribadito che “non emerge nessuna stima tra Citrigno e Bozzo, ma un comportamento da padrone. Non è vero che il diario e le testimonianze dei colleghi non siano delle prove e da quel diario emerge uno stillicidio”. Stando alle testimonianze degli altri giornalisti del quotidiano fallito, Citrigno rimproverava Bozzo quando non gradiva i suoi articoli.
Così vanno le cose in Calabria, dove le iniziative editoriali spesso camminano a braccetto con progetti politici. Dove i giornalisti diventano “scomodi” prima all’interno della propria redazione e poi ai politici di cui scrivono. Dove, a parte qualche eccezione, i giornali hanno una vita media inferiore ai 5 anni. Il tempo di una legislatura.
La Procura della Repubblica di Cosenza prende atto “è stata riconosciuta la validità dell’impianto accusatorio e comunica anche che avanzerà appello nei confronti della sentenza, ritenendo assolutamente inadeguata la pena irrogata rispetto alla gravità dei fatti contestati e che proseguiranno le indagini per ulteriori fatti reato emersi nel corso del dibattimento”.