"Oggi il 70 per cento del grano in Italia viene importato, i contadini non sanno più a chi venderlo. Si stanno perdendo tradizioni e colture antiche, ma anche il controllo sul cibo". Per questo Stefano Caccavari, 27enne originario di San Floro, in provincia di Catanzaro, ha avviato il progetto "Mulinum": grazie al crowdfunding, in meno di tre mesi ha raccolto mezzo milione di euro, con donazioni provenienti da tutto il mondo
Il suo sogno era salvare l’ultimo mulino a pietra della propria regione, la Calabria, ma nel giro di nemmeno tre mesi è riuscito a fare molto di più. Con un appello su Facebook Stefano Caccavari, 27enne originario di San Floro, in provincia di Catanzaro, ha raccolto 500mila euro, creando la più grande startup agricola del mondo. E ora il suo progetto “Mulinum” ha spiccato il volo, con l’obiettivo di riportare in Calabria la filiera dei grani antichi e rilanciare il proprio territorio a partire dall’agricoltura, dai prodotti a chilometro zero e dalle lavorazioni di una volta.
Tutto è cominciato lo scorso febbraio, quando Stefano è venuto a sapere che l’ultimo mulino a pietra naturale della sua zona rischiava di chiudere, proprio in quella che un tempo, fino al 1961, era chiamata la Valle dei Mulini. “A San Floro anni fa c’erano nove mulini – racconta Stefano a ilfattoquotidiano.it –. Era così in tutta Italia, ma con l’arrivo dei mulini moderni a cilindri, quelli a pietra vennero smontati e dismessi”. Le conseguenze di questo passaggio però hanno portato alla dismissione anche delle coltivazioni di grano locale, perché i contadini, invece di produrre la farina in proprio, hanno cominciato a vendere il grano ai mulini industriali, che lo mescolano ad altri grani prodotti altrove.
“Quando ho saputo che la Calabria stava per perdere l’ultimo mulino a pietra certificato bio, ho pensato a un modo per salvare la tradizione della mia terra, perché una volta questa era la Valle dei mulini”, continua il giovane, che da studente di Economia aziendale e appassionato di informatica ha scelto di avviare una raccolta fondi via social network chiedendo aiuto su Facebook. Un crowdfunding al di fuori delle tradizionali piattaforme, che però ha avuto una risposta immediata, tanto che grazie al passaparola, nel giro di 48 ore erano già state versate 70mila euro. In 86 giorni, quindi in meno dei tre mesi fissati come limite per la raccolta, le cifre si sono moltiplicate fino al traguardo di 500mila euro e i soci del progetto che ha preso il nome di “Mulinum” sono diventati in tutto 100. “Le donazioni sono arrivate da tutto il mondo: Pechino, New York, Londra, Miami. La gente ha fiducia nel nostro progetto, crede nelle iniziative trasparenti, dove le persone mettono la propria faccia”.
C’è da dire che pur essendo giovane, alle spalle Caccavari ha già una “reputazione di ferro”. Nel comune di San Floro, in cui doveva nascere una discarica poi bloccata dalla Regione dopo una lotta di residenti e comitati, è molto conosciuto per avere realizzato “Orto di famiglia”, con cui ha messo a disposizione quattro ettari di terra di proprietà di famiglia a quanti, in cambio di un “abbonamento”, siano interessati a raccogliere prodotti coltivati senza additivi chimici e con una provenienza sicura.
“Noi mettiamo il lavoro in cambio di una quota, gli ortisti possono controllare le semine e i raccolti, e poi avere le verdure a chilometro zero e naturali”. Oggi gli ortisti sono oltre 100 e le persone sono sempre più interessate, e intanto a questa prima iniziativa si è affiancata Mulinum, che punta sempre a valorizzare l’agricoltura e far crescere il senso di comunità intorno ai prodotti della Calabria, dando nuovo vigore al settore e anche un futuro per la gente che vive lì. “Un giorno un mio amico mi ha detto che se le persone non fanno nulla per difendere il territorio in cui vivono, allora il territorio sparisce – racconta Caccavari -. Da allora mi sono domandato cosa stessi facendo io per San Floro, che è un comune a vocazione agricola, e mi sono messo al lavoro. La mia missione oggi è quella di difendere la mia terra producendo il migliore cibo del mondo”.
Alla fine il 27enne non si è limitato a salvare l’ultimo mulino, ma ha creato una società per farne uno nuovo e più grande, e recuperare insieme a esso anche la filiera dei grani antichi calabresi. “Queste colture locali rendono molto meno rispetto ai grani industriali e a causa del ribasso dei prezzi nel tempo i contadini hanno smesso di coltivarle – chiarisce -. Però sono più genuine e non modificate, è su questo che dobbiamo puntare”.
Il “mulino social”, come lo chiamano ormai ovunque, sarà un edificio biosostenibile con macine in pietra naturale e una ruota idraulica, come quelli in uso 100 anni fa. Qui il grano macinato sarà trasformato in farina, ma ci sarà anche un forno per il pane e uno per la pizza, per un totale di quattro posti di lavoro. Per chi lo desidera è disponibile anche la “Mulinum card”, che permetterà a chi si abbona di prenotare e ricevere farina prodotta a San Floro in tutta Italia, e non solo.
“Vogliamo creare una filiera corta, che dal grano arriva direttamente al prodotto – aggiunge – Oggi il 70 per cento del grano in Italia viene importato, i contadini non sanno più a chi venderlo. Si stanno perdendo tradizioni e colture antiche, ma anche il controllo sul cibo. Noi vogliamo invece produrre cibo naturale, crediamo nella qualità. Vogliamo fare rinascere la nostra terra”. Anche per questo il Mulino di San Floro cerca 100 agricoltori che lo riforniscano di grano antico bio: “Glielo compreremo noi – assicura Stefano – perché vogliamo incentivare l’agricoltura e la vocazione del nostro territorio”.
Il primo raccolto di grano a luglio, l’inaugurazione a gennaio 2017, a meno di un anno dall’appello lanciato su Facebook, e poi gli ingranaggi del mulino cominceranno a girare. E Stefano, che per scherzare qualcuno a Catanzaro ora chiama lo “Steve Jobs del cibo”, non ha intenzione di fermarsi qui. “In Italia una volta in ogni comune c’erano almeno cinque o sei mulini a pietra – spiega – Se si ritornasse a produrre la farina nei mulini, il nostro progetto sarebbe esportabile ovunque e si potrebbe allargare anche con punti vendita in cui acquistare i prodotti realizzati con le nostre farine. L’Italia è famosa in tutto il mondo per il cibo. Dovrebbe ricominciare a investire nella sua terra e pensare prima di tutto a produrre cibo di qualità”.