La pacchia deve finire. Parola di Enrico Buemi, agguerrito senatore del Partito socialista che fu. E che ha messo nel mirino le sale stampa tenute aperte a qualunque titolo con oneri a carico dello Stato. Che si tratti di quelle nei ministeri o a Palazzo Chigi: non vengono risparmiate neppure Camera e Senato in vista della cancellazione del bicameralismo paritario. Senza dimenticare la sede della Stampa Estera per la quale a pagare l’affitto, e non solo, è il ministero dello Sviluppo Economico che, ogni anno, si fa carico delle bollette come luce e gas (ma non del conto telefonico). E dell’affitto (si parla di circa 750 mila euro) oltre che dello stipendio di cinque funzionari per tenere aperti gli uffici.
QUESTIONE DI ONERI “Perché dobbiamo farci carico di oneri che più propriamente dovrebbero competere alle testate? E’ noto che di questi spazi, peraltro, usufruiscano soprattutto i grandi mezzi di informazione, che siano quotidiani o altro, anziché le piccole realtà che forse è anche giusto aiutare”, dice a ilfattoquotidiano.it Buemi (nella foto in alto) che ha presentato una sua proposta di legge all’attenzione dell’aula al Senato nell’ambito della discussione sui finanziamenti all’editoria. “Per il Parlamento, dal momento che si va verso l’unificazione della amministrazioni, la questione delle sale stampa va razionalizzata nel senso di unificarle come si sta facendo per gli altri servizi come la biblioteca. E poi qual è il senso che ciascun ministero o quasi ne abbia una sua?”. Questione minore, si dirà. Anche se sensibilissima. Come dimostra la vicenda della sede dell’Associazione della Stampa estera.
E IO PAGO “Perché dobbiamo pagare tutti noi il luogo di lavoro del corrispondente del Times o di qualunque altra testata straniera? Si tratta di un atteggiamento da captatio benevolentiae, tipico della mentalità latina. Una mentalità peraltro masochistica dal momento che spesso e volentieri i resoconti di questi corrispondenti sono delle vere e proprie bastonate nei confronti del nostro Paese”, aggiunge Buemi mettendo nel mirino le spese che ruotano attorno alla sede, perno dell’associazione che ha più di cento anni e che dagli uffici di via della Mercede a Palazzo Marini è stata trasferita in via dell’Umiltà, a due passi dal Quirinale e da Piazza Fontana di Trevi. Sempre in locali di proprietà dell’immobiliarista Sergio Scalpellini. E che, probabilmente, è destinata ad approdare altrove: si parla di Piazza Augusto Imperatore in un immobile che però sarebbe già in vendita. Quel che è certo è che tra i corrispondenti stranieri si respira un certo vento di precarietà.
POVERA ITALIA “Ogni decisione compete al governo: noi siamo ospiti anche se, ovviamente non saremmo felici se venisse decisa la chiusura della sede o un trasferimento che riducesse sia le possibilità di lavoro dei corrispondenti, sia le possibilità di organizzare incontri o eventi tramite l’Associazione”, spiega Tobias Piller, corrispondente economico nel nostro Paese della Frankfurter Allgemeine Zeitung e che presiede l’associazione della Stampa estera in Italia. Ad oggi una delle più grandi organizzazioni di corrispondenti esteri del pianeta che ha mantenuto dal 1912 la sua missione: offrire ai giornalisti stranieri servizi, assistenza e vita sociale. “Abbiamo portato il mito dell’Italia in tutto il mondo: in oltre 100 anni sono transitati di qui oltre 5000 corrispondenti. Senza una sede adeguata è probabile, a maggior ragione in questa situazione di crisi dei media, che corrispondenti free lance si trovino senza i servizi offerti dell’Associazione. Colleghi che avrebbero maggiore difficoltà di lavorare o addirittura di sopravvivere economicamente. Il numero degli attuali 350 giornalisti in Stampa Estera, insomma, potrebbe scendere in modo drastico. Ed è inutile dire che per l’Italia avere molti corrispondenti, come canale di comunicazione verso l’estero, è un vantaggio: io non me ne priverei”.