Cara Ministra,
lei di me non sa neanche il nome, non sa dove abito, non ha idea di come trascorro le giornate. Io invece, oggi, accompagnando mio fratello al suo primo giorno di scuola ho subito pensato a lei, alle maestre, a questo imponente edificio che voi chiamate “scuola”, che oggi rivedo dopo tanti anni e che continua a intimidirmi. La timidezza dei figli delle baraccopoli è l’eredità che ci hanno lasciato i nostri padri. Timidezza e rabbia che crescono ogni giorno nel nostro cuore, come sorelle di una stessa madre.
Ho ripensato al mio primo giorno di scuola. L’ho frequentata fino alla prima media vivendo in una baracca che oggi è diventata un container. Nessuno di voi mi ha chiesto perché avessi lasciato la scuola; pensavate di conoscere già la risposta.
Che i bambini delle baraccopoli non siano fatti per la scuola, infatti, lo pensano in molti. Lei lo certifica nelle “Linee guida” agli insegnanti quando scrive di noi che sembriamo “poco inclini a prestare attenzione al discorso rivolto dall’insegnante all’intera classe e ciò richiede di impostare percorsi di apprendimento specifici e personalizzati”. Non abbiamo nulla da replicarvi perché il coltello dalla parte del manico ce l’avete voi.
Ce l’avete quando, numeri alla mano, ci accusate di evadere la scuola dell’obbligo. Ma la scuola incoraggia i bravi e abbandona chi non ce la fa. Quando ho smesso di frequentare la prima media nessuno è venuto a bussare alla porta della mia baracca. Pensate di comprendere i problemi della scuola ma non avete la pazienza di mettere gli occhi sulle statistiche. Allora le cifre si mettono a gridare contro di voi.
A Roma sono quasi 3.000 i figli delle baraccopoli che dovrebbero andare a scuola ma di essi il Comune ne intercetta solo il 40%. Che fine fa il rimanente 60%? Tra quelli avviati alla scuola, il 30% rinuncia subito mentre il resto si fa coraggio ed inizia frequentare. La metà di essi frequenterà comunque una classe non conforme all’età anagrafica. A giugno scopriamo che solo 1 bambino frequentante su 10 è riuscito a farlo regolarmente. E’ la “strage” dei figli delle baraccopoli. Ma voi di loro non sapete neanche che esistono.
La vostra scuola dell’obbligo, a Roma, perde 2.880 figli delle baraccopoli ogni anno, bambini che al massimo potranno aspirare a diventare garzoni o manovali. Per cercare le cause a voi basta chiamarli “bambini rom”. La parola “rom” giustifica e risolve tutto. E’ un’etichetta che ci mettete sulla fronte dal primo giorno di scuola. Da quel momento ogni nostra mancanza sarà spiegata in nome di una “cultura” e noi diventiamo un numero che finisce nelle linee guida ministeriali, nei progetti di inclusione scolastica dei Comuni, nei programmi differenziati promossi da vari enti pubblici e privati, nelle strategie pedagogiche programmate su base etnica dagli esperti di settore. Con quell’etichetta sulla fronte, dal primo giorno di scuola, per la maestra siamo diventati bambini “a parte”.
Ricordo quando alle elementari passavo tra i banchi e i miei compagni si spostavano per evitarmi turandosi il naso. I germi non li ho studiati a scienze. Li ho riconosciuti nel timore che i miei compagni provavano quando mi sfioravano. In prima media le maestre pensavano che a me non importasse nulla e quando mi invitavano a leggere io abbassavo gli occhi. Nessuno me l’aveva insegnato, visto che gli anni precedenti li avevo passati all’ultimo banco a disegnare. A scuola ho capito per la prima volta di non essere uguale, di essere uno “zingaro”. Dal primo giorno di scuola inizi a sentire puzza di razzismo. E ti accorgi che è la stessa che i nostri genitori non sentono più perché c’hanno fatto l’abitudine.
“I vostri genitori non vengono ai colloqui”, ci rimproverate. Ma per farlo bisogna saper maneggiare l’italiano, avere un vestito adatto e il coraggio di subire la paura e la sorpresa che illumina la faccia degli altri genitori rivelando in classe la presenza di un alunno rom.
Oggi mio fratello inizierà il primo giorno di scuola. Da oggi maturerà la consapevolezza di essere diverso dagli altri e da oggi la rabbia comincerà a crescere insieme alla timidezza. Le due sorelle…
Ma se tutti i bambini nascono uguali e se in seguito non lo sono più, è colpa anche della scuola. La Costituzione, quando parla di mio fratello, che oggi inizia la scuola, dice che è compito della Repubblica “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Ma la scuola di oggi, quella che voi chiamate “buona”, ha più a cuore i programmi scolastici che la Costituzione.