L'ottava sezione ha rigettato un ricorso contro la decisione del 2012 che aveva riconosciuto l'illegittimità dell'esenzione ma escluso il recupero perché sarebbe stato "impossibile" identificare le attività svolte negli immobili ecclesiastici e soggette all'imposta
Gli enti ecclesiastici che tra 2008 e 2012 non hanno pagato l’Ici non dovranno restituire allo Stato italiano gli arretrati. A stabilirlo è stata l’ottava sezione del Tribunale di primo grado del Lussemburgo, che si è espressa su due ricorsi presentati dal proprietario di un bed & breakfast e da una scuola montessoriana, due tra “i numerosi denuncianti” che nel 2006 si sono rivolti alla Commissione contro l’esenzione di fatto concessa a scuole religiose, cliniche, alberghi e in generale tutte le attività commerciali gestite da enti ecclesiastici. Esenzione criticata anche da papa Francesco, secondo cui chi fa affari con l’accoglienza e l’assistenza sanitaria è tenuto a pagarci le tasse.
Nel 2012 la Commissione Ue ha stabilito che gli sgravi erano in effetti illegittimi e costituivano aiuti di Stato distorsivi della concorrenza. Contestualmente ha sancito però che Roma non era tenuta a battere cassa per recuperare il gettito perso, perché era troppo complicato stabilire chi dovesse pagare. Capitolo chiuso, dunquel. Nello stesso anno il governo Monti ha sostituito l’Ici con l’Imu e ne ha imposto l’applicazione anche agli immobili ecclesiastici che svolgono attività commerciali. Il 26 giugno 2014 il ministro dell’Economia del governo Renzi Pier Carlo Padoan ha poi firmato un decreto in base al quale non sono tenute a pagare le scuole private che chiedono alle famiglie rette inferiori ai 6.882 euro annui (pari al costo medio per ogni alunno di scuola statale calcolato dall’Ocse), le cliniche convenzionate e tutti gli enti non commerciali posseduti dalla Chiesa, dalle parrocchie alle università ai musei.
Nel frattempo però fioccavano i ricorsi contro la decisione della Commissione. Oggi il Tribunale Ue ha stabilito che sono “irricevibili“, sia perché “la decisione impugnata non riguarda individualmente la ricorrente” e “non può essere considerata un atto regolamentare che non comporta misure di esecuzione” sia perché è vero che “la soppressione di un aiuto di Stato mediante recupero è la logica conseguenza dell’accertamento della sua illegittimità“, ma “un’impossibilità assoluta può giustificare il mancato recupero degli aiuti di Stato illegittimi” e nella decisione impugnata la Commissione ha indicato che “alla luce della specificità del caso in esame, risulterebbe assolutamente impossibile per la Repubblica italiana procedere al recupero degli eventuali aiuti illegittimi concessi nell’ambito delle disposizioni dell’Ici”. Questo in quanto “né le banche dati catastali né le banche dati fiscali consentivano di identificare il tipo di attività (economica o non economica) svolta negli immobili di proprietà degli enti non commerciali, e nemmeno di calcolare oggettivamente l’importo dell’imposta da recuperare”.
Il fiscalista Carlo Pontesilli, che insieme all’ex deputato del partito Radicale Maurizio Turco presentò il primo ricorso presso la Corte di giustizia europea per chiedere il rimborso dell’imposta non versata, in un’intervista a Radio radicale ha annunciato che “ci sono gli estremi per proseguire la battaglia giuridica. Valuteremo se fare appello”. Il recupero delle somme perdute, una volta riconosciuto l’aiuto di Stato, c’è ”sempre”, osserva. Tutta la storia dell’Ici “sorprende” e il fatto che la Corte “abbia ritenuto ammissibile questa nostra richiesta è strepitoso”. “Pensare a qualche manina, qualche pressione politica per arrivare a questa decisione non possiamo non farlo”, ha chiosato Pontesilli, “però ci piace immaginare che ancora in corte europea trionfi solo il diritto”. Questa vicenda “merita un passo successivo”.