Da numero uno del Tesoro, nei giorni “caldi” dei Monti bond, Grilli dichiarava al Parlamento che l’emissione dei titoli “non si configura come un salvataggio” e che la banca “ha una situazione patrimoniale complessiva solida”. Nel luglio 2011, poi, veniva intercettato telefonicamente mentre chiedeva all’amico Massimo Ponzellini un aiuto per la nomina a governatore della Banca d’Italia
Il blitz del governo si sta traducendo nell’ennesimo bagno di sangue per il MontePaschi. Dall’8 settembre, giorno del passo indietro dell’amministratore delegato Fabrizio Viola, il titolo della banca non ha fatto che perdere, accelerando ulteriormente la caduta dopo l’annuncio delle dimissioni del presidente Massimo Tononi e le indiscrezioni sul possibile arrivo a Siena dell’ex-ministro Vittorio Grilli. In poche sedute la quotazione è arrivata a un passo dal rompere al ribasso la soglia degli 0,22 euro con una perdita quasi doppia rispetto a quella dell’indice di Borsa (-7,6% contro il -4,4% registrato dall’indice Ftse Mib). Rispetto al settembre dello scorso anno, il titolo ha perso l’87% del proprio valore e la capitalizzazione di Borsa si è ridotta a 650 milioni, quasi 8 volte meno rispetto all’importo dell’aumento di capitale (5 miliardi) previsto dal piano di salvataggio varato a fine luglio. Il governo, però, non sembra intenzionato a mollare la presa e per la sostituzione di Tononi già pensa a diversi nomi, tra cui appunto quello dello stesso Grilli, presidente del Corporate and Investment banking di JP Morgan per l’Europa, il Medio Oriente e l’Africa, nonché “regista” dell’operazione MontePaschi. L’ex direttore generale del Tesoro, poi ministro dell’Economia all’epoca del governo Monti vorrà davvero spendersi in prima persona in un’operazione ad altissimo rischio di insuccesso? Difficile crederlo a meno che non gli venga garantita un’adeguata contropartita (o un bel paracadute) per il dopo.
Da ministro, nei giorni “caldi” dei Monti bond, Grilli dichiarava dinnanzi al Parlamento che l’emissione dei titoli “non si configura come un salvataggio” e che la banca “ha una situazione patrimoniale complessiva solida”. Lo si è visto. Ma l’ex ministro ora banchiere, è anche lo stesso che nel luglio 2011 veniva intercettato telefonicamente mentre chiedeva all’amico Massimo Ponzellini, all’epoca presidente della Banca Popolare di Milano e finito poi al centro dello scandalo per la gestione della banca e attualmente sotto processo a Milano, un aiuto per la nomina a governatore della Banca d’Italia e in particolare per convincere l’allora segretario del Pd, Pierluigi Bersani, a non ostacolare la sua nomina, che godeva del pieno sostegno del governo Berlusconi. Ma Grilli era soprattutto il candidato delle banche, cosa che non lo ha agevolato nella corsa alla poltrona di governatore: gli è stato preferito un “interno”, Ignazio Visco.
Vicinissimo alle Fondazioni bancarie e, in particolare, a Giuseppe Guzzetti, presidente dell’Acri e della Fondazione Cariplo, Grilli ha storicamente esercitato una forte influenza sulla Cassa depositi e prestiti, ora impegnata anche sul fronte dei salvataggi bancari attraverso la partecipazione al Fondo Atlante, e vanta ottime relazioni con il governo Renzi. Insomma, il candidato “ideale” per quel ruolo e tempo per convincerlo ce n’è, visto che Tononi lascerà la presidenza solo dopo l’assemblea dei soci. Nel frattempo, però, la situazione che si è creata in quel di Siena con le dimissioni dell’amministratore delegato, prima, e del presidente poi si sta facendo incandescente: i sindacati della banca chiedono “immediati chiarimenti, nelle sedi opportune, sul ruolo svolto dal governo italiano in tema di cambio repentino della governance, sia sulle azioni che lo stesso governo intende svolgere a garanzia del terzo gruppo bancario domestico, degli oltre 25mila lavoratori che dello stesso gruppo fanno parte e del sistema creditizio nazionale”. E un duro attacco al governo arriva anche dalla Cgil nazionale.
Con una nota congiunta la segretaria generale della Cgil Susanna Camusso e il segretario generale della Fisac Agostino Megale rilevano che “si dice una cosa e si fa esattamente l’opposto. Avevamo capito che era intenzione di questo governo e del suo presidente del Consiglio, fare un passo indietro dall’ingerenza nelle banche. Quanto accaduto in Mps, prima con le dimissioni dell’amministratore delegato Viola e poi con quelle conseguenti del presidente della Banca, ci sembra dicano esattamente il contrario. Così non va”. E, prosegue la nota, “non servono ingerenze, interventi diretti sulla governance o sul management, ma scelte politiche trasparenti a tutela del settore creditizio, dei risparmiatori, del terzo gruppo bancario del Paese e dei suoi 25.000 lavoratori”. A esprimere “rammarico” per le dimissioni di Tononi è anche la Fondazione Monte Paschi di Siena che per la scelta del nuovo presidente “auspica l’individuazione tempestiva di una figura di alto profilo, a seguito di un percorso di selezione ampiamente condiviso fra gli azionisti della Banca”. Resta poi un dato di fondo: le ingerenze dell’esecutivo nelle vicende della banca stanno facendo crescere la preoccupazione non solo per la riuscita del piano di salvataggio del MontePaschi (chi mai sarà disposto a investire in una banca se le decisioni le prendono altri?) , ma più in generale per il sistema bancario italiano che non ha solo all’enorme problema dei non performing loans che continuano a crescere. C’è anche la governance peraltro problematica che rischia di fare un passo indietro di alcuni decenni, quando la politica sedeva direttamente nei consigli d’amministrazione.