Accatastati uno sopra l’altro, senza distinzione di nazionalità, divisa o grado. Li hanno trovati così, per caso, settant’anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, sepolti sotto quattro metri di terra. Migliaia e migliaia di soldati, tra cui probabilmente molti italiani. Una grande fossa comune, un gigantesco cimitero nella steppa russa, circa 800 chilometri a nordest di Mosca, che si calcola sia lungo cinquecento metri e largo un centinaio. Non fosse stato per i contatti internazionali del Gruppo Speleologico Carsico di San Martino del Carso, chissà quando si sarebbe saputo qualcosa dell’esercito dei soldati dispersi che lentamente sta venendo alla luce.
“Siamo grati all’amico ungherese Szebenyi István, dell’associazione Had-és Kultúrtörténeti Egyesület, per la segnalazione che ci ha inviato e ci ha permesso di metterci in contatto con chi in Russia si sta occupando di questo ritrovamento eccezionale. Sono associazioni con cui collaboriamo da anni e che si occupano di ricercare e conservare i cimiteri di guerra sia della prima che della seconda guerra mondiale”, spiega Gianfranco Simonit, responsabile della sezione ricerche storiche del gruppo.
La quantità di resti umani è davvero imponente e riguarderebbe militari sepolti nei primi mesi del 1943, dopo che erano stati presi prigionieri dai sovietici a seguito della controffensiva di Stalingrado. Siamo, infatti, a una quindicina di chilometri da Kirov, una città di quasi mezzo milione di abitanti sul fiume Vjatka, lungo la ferrovia Transiberiana. La scoperta risale a tre mesi fa quando le prime ossa sono state rinvenute in una zona dove storicamente è nota l’esistenza di nove campi staliniani in cui sarebbero scomparsi almeno duemila italiani.
Dopo i primi scavi sono state finora individuate almeno quattro nazionalità di vittime: italiani, tedeschi, rumeni e ungheresi. Sarebbero morti di freddo, di fame e di malattia, anche durante il viaggio in treno. Per questo sono stati sepolti lungo la ferrovia. Secondo le stime di due ricercatori russi, Alexey Ivakin e Andrey Ogoljuk, l’esercito sepolto potrebbe essere composto da 15-20 mila scheletri.
Simonit, intervistato da Il Piccolo, che per primo ha dato la notizia, spiega: “A quanto risulta sono state trovate alcune medagliette di italiani. La fossa era in un terreno di prossima edificazione: dopo i primi scavi, sono emersi teschi e ossa a meno di mezzo metro”. E aggiunge: “Ho informato il 15 giugno la direzione dell’Onorcaduti di Redipuglia e due settimane dopo ci è stato assicurato che l’ambasciata a Mosca era stata avvertita, ma ai nostri contatti in Russia non risultavano novità: le ambasciate di Germania, Ungheria e Romania sono intervenute subito”. Il gruppo si è allora rivolto alla senatrice Laura Fasiolo, del Pd, che ha scritto al ministro degli Esteri Paolo Gentiloni. Solo a quel punto il governo ha effettuato le verifiche. La mobilitazione delle autorità è decisiva perché sui terreni dove si trova la gigantesca fossa comune è prevista la costruzione di case.