“Accettò la responsabilità di governo in uno dei momenti di maggiore crisi politica ed economica della nostra Storia”, ha ricordato il presidente del Senato Pietro Grasso. Carlo Azeglio Ciampi, morto a Roma dov’era ricoverato in una clinica per un peggioramento delle sue condizioni di salute, è stato il perno istituzionale attorno al quale ha ruotato la più grande stagione di cambiamenti della storia recente del nostro Paese. Dal fallimento del Banco Ambrosiano all’ingresso dell’Italia nell’euro, passando per la svalutazione della lira, la concertazione, il risanamento delle finanze pubbliche, le sfide affrontate in ambito economico. Nel mezzo, la tumultuosa stagione di Mani Pulite, la complessa transizione tra la Prima e la Seconda Repubblica e le bombe in via dei Georgofili e Firenze, in via Palestro a Milano e a San Giovanni a Roma.

Tre i palazzi che hanno fatto da palcoscenico alla lunga esperienza di Carlo Azeglio Ciampi al servizio dell’economia del Paese: la Banca d’Italia, Palazzo Chigi e il Tesoro. Entrato per concorso in Bankitalia nel 1946, gli ultimi 14 nelle vesti di governatore, dal 1979 al 1993, furono i più difficili: Ciampi arrivò proprio nel pieno della bufera Sindona, pochi mesi dopo l’omicidio di Giorgio Ambrosoli. Di lì a poco sarà subito chiamato a occuparsi del fallimento del Banco Ambrosiano.

E se gli inizi sullo scranno più alto di Palazzo Koch non furono tranquilli, i mesi finali non furono certamente da meno. Era il settembre del 1992, nel pieno della bufera Tangentopoli, e il governo Amato si preparava a varare la mega-manovra da 93mila miliardi di vecchie lire (con il famigerato prelievo forzoso dai conti correnti) presentato come indispensabile per evitare la bancarotta del Paese.

In quelle ore concitate, dopo incontri e telefonate a non finire, Ciampi, Amato, l’allora ministro del Tesoro Piero Barucci, con i direttori generali di Bankitalia Lamberto Dini e di via XX Settembre Mario Draghi, decisero per la svalutazione. Per tutti la decisione fu dolorosa, ma come ebbe a spiegare Ciampi molti anni dopo, anche “saggia”, perché segnò l’avvio del risanamento economico dell’Italia che avrebbe portato, 10 anni dopo, all’ingresso nell’euro fin dall’inizio, un traguardo al quale in pochissimi credevano.

Ma proprio pochi mesi dopo quel drammatico evento Ciampi venne chiamato a una nuova sfida e a una sorta di seconda vita: la formazione di un governo di transizione, per la prima volta nella storia affidato a un non parlamentare. Ciampi, che rimase a palazzo Chigi fino al maggio del 1994, lasciò il segno soprattutto per l’avvio della concertazione, con l’accordo con le parti sociali del 1993 sulla politica dei redditi e dell’occupazione, sugli assetti contrattuali, sulle politiche del lavoro e sul sostegno al sistema produttivo: e in quel periodo intenso fu anche il lavoro per la privatizzazione delle grandi banche.

Cambio di prospettiva: erano gli anni delle bombe e della fine della Prima Repubblica, morta alle elezioni del 5 aprile 1992 con la sconfitta dei partiti delle tangenti. Il 21 aprile 1993 Giuliano Amato lascia la guida del governo e cinque giorni più tardi Ciampi riceve l’incarico di formare il nuovo governo. Il 13 maggio il Senato concede l’autorizzazione a procedere nei confronti di Giulio Andreotti, che i magistrati palermitani vogliono processare per mafia. Il 27 maggio, a Firenze, esplode la bomba di via dei Georgofili, che fa cinque morti. Il 2 giugno, davanti a Palazzo Chigi viene ritrovata una Fiat 500 piena d’esplosivo. Nella notte tra il 27 e il 28 luglio scoppiano quasi in simultanea le tre autobombe in via Palestro a Milano (altre cinque vittime) e alle basiliche di San Giovanni in Laterano e San Giorgio al Velabro, a Roma.

Una breve parentesi alla Banca dei Regolamenti Internazionali, e poi l’ex governatore e premier fu richiamato in servizio dai governi Prodi e D’Alema, tra il 1996 e il 1999, come ministro del Tesoro. Ed è in questa veste che riuscì decisamente a riparare quella sorta di “onta” che per il Paese fu la svalutazione della moneta. “L’Italia di certo non potrà entrare nell’euro dall’inizio”: lo scetticismo di Theo Weigel, all’epoca ministro delle Finanze tedesco, era assai diffuso sui mercati internazionali.

Ma proprio l’euro era l’ultima sfida che Ciampi voleva a tutti i costi vincere e ci riuscì: nel giro di nemmeno dieci anni, anche grazie all’eurotassa, il deficit scese da oltre il 10% al 2,7%, al di sotto della soglia massima consentita dal Trattato di Maastricht: “Mi sono sempre definito un cittadino europeo nato in terra d’Italia: da oggi mi sento veramente tale”, commentò soddisfatto quel primo gennaio del 1999, quando la moneta unica nacque ufficialmente.

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