È solo l’inizio, un’estate rivoluzionaria di certo non sta aiutando, eppure attorno all’Inter si sente già puzza di bruciato. Perché il primo mese della nuova stagione non ha cambiato i connotati ai nerazzurri, assomigliando più al secondo tempo dei primi cinque mesi del 2016 che all’inizio di un nuovo ciclo. Chievo, Palermo, Pescara e Hapoel Beer Sheva sembravano il poker perfetto per alimentare le speranze della nuova società, invece hanno lasciato in dote una vittoria in rimonta e due sconfitte nonostante il valore quanto meno abbordabile degli avversari. Poco, troppo poco, soprattutto alla luce del gioco mostrato dagli uomini di Frank De Boer. Non sono bastati i 100 milioni investiti in estate per rinforzare la squadra e portare a Milano chi l’Europa League l’ha vinta, come Banega, è campione continentale come Joao Mario, o ancora ha sempre fatto la differenza in Italia come Candreva. All’Inter manca l’identità, una filosofia di gioco e ancora molta personalità. Oltre a una difesa che, a parte i soliti Miranda-Murillo, sconta l’infortunio di Ansaldi, dietro al quale esistono solo D’Ambrosio e Nagatomo, due dei peggiori fino alla scorsa primavera e ancora presenti (e in campo) dopo l’estate.
In quei mesi che sulla carta hanno cambiato tutto, alla fine, vanno ricercate le incertezze nerazzurre di settembre. Il cambio di proprietà di giugno con l’arrivo di Suning è operativo solo in parte, ancora. E le incertezze nel periodo di transizione hanno finito per prolungare oltremisura anche il cambio di allenatore. La rottura con Roberto Mancini si è definita l’8 agosto ma il mal di pancia del tecnico era iniziato molto prima. La lunga trattativa per trovare un accordo sulla buonuscita ha protratto l’agonia, spezzando in due il pre-campionato e dando a De Boer poco tempo per ambientarsi e dare una fisionomia a una squadra nata su indicazioni del vecchio allenatore. Un tentennamento che l’Inter rischia di pagare a caro prezzo. Nonostante l’ultimo anno di contratto di Mancini fosse lì nero su bianco ed era semplice pensare che un tecnico come lui avrebbe difficilmente accettato di proseguire l’esperienza in panchina senza garanzie sul futuro e con l’ombra di Pablo Simeone, ora nuovamente già all’orizzonte, sulla stagione 2017/18. Da una parte l’allenatore marchigiano cercava il rinnovo, dall’altra i nerazzurri nicchiavano tra i risultati non altezza degli investimenti e il desiderio di circoscrivere il ruolo del Mancio a quello di tecnico più che di manager all’inglese.
La querelle sulla cessione/sì-cessione/no di Mauro Icardi ha messo altro pepe su un piatto già bollente, che ora deve gestire De Boer. Chiamato, come se non bastassero i tempi sbagliati del suo ingaggio, ad affrontare l’Europa senza Kondogbia e Joao Mario, a causa del Fair Play Finanziario, e a gestire giocatori ai margini da tempo ma ancora in rosa come Ranocchia, Nagatomo, D’Ambrosio, Melo e Medel – in buona parte cercati e ottenuti da Mancini – che il club non è riuscito a cedere in estate. Fatto che ha comportato una doppia ripercussione: il livello delle seconde linee è rimasto basso ma ci sono due competizioni da affrontare, quindi è fondamentale l’apporto di tutti; a fronte dei 100 milioni investiti e dell’aver trattenuto i pezzi grossi, l’esiguo numero di cessioni degli atleti in esubero ha bilanciato in modesta parte le uscite.
E questo vuol dire che l’Inter ha bisogno di buoni risultati, in Italia e in Europa, per sperare di aumentare i ricavi grazie alla partecipazione alla Champions League. Dodici mesi dopo e con molti milioni in meno, i nerazzurri sono ancora alla casella di partenza. Il morale però è ancora più basso, i cinesi non hanno ancora preso il comando totale delle operazioni sotto il profilo gestionale, i tifosi – appena 17mila spettatori in Europa League – guardano con scetticismo al presente e continuano le difficoltà a trovare sponsor, così da aumentare i milioni in entrata. In tutto questo l’Inter ha davanti cinque partite in quindici giorni: Juventus, Empoli, Bologna e Roma in campionato, oltre allo Sparta Praga in Europa League. A De Boer servirebbe tempo, ma non ne avrà. E se i risultati non dovessero dargli ragione, tutte le colpe potrebbero ricadere su di lui. Mentre andrebbero ricercate in un’altra estate dispendiosa e sciagurata, affrontata con tempi sbagliati e decisioni fuori sincro con la costruzione della squadra. Quindici anni fa si diceva che l’Inter vincesse gli scudetti sotto l’ombrellone. Adesso pare proprio che inizi a perderli esattamente nello stesso posto.