La 31enne a ottobre era tornata dai pm per chiedere di nuovo la rimozione dei filmati hard. Ma i magistrati hanno ritenuto il sequestro inutile perché ormai le immagini erano state diffuse e scaricate da centinaia di utenti
L’assedio si consuma online, con la progressiva scoperta di nuovi siti e pagine in cui comparivano spezzoni e fermi immagine dei suoi video hot. Un crescendo rapido che contagia anche la realtà non virtuale: gli amici spariscono, nessuno la invita più fuori o si fa sentire. Ad eccezione dell’ex fidanzato che, per affetto o altro, rimane al suo fianco. Emergono nuovi dettagli giudiziari sulla vicenda di Tiziana Cantone, la 31enne che si è suicidata dopo la diffusione di sei suoi video hot. Filmati che inizialmente aveva inviato a quattro persone, credendole fidate. Sono tutti indagati per diffamazione. Corriere della Sera e Repubblica riportano il contenuto del suo interrogatorio di ottobre 2015: dichiarazioni messe nero su bianco cinque mesi dopo la denuncia contro i quattro.
Al magistrato spiega che con i destinatari dei video intratteneva “relazioni virtuali” online in un periodo che definiva di “depressione e fragilità”. Precisa di avere girato e diffuso quei sei filmati “volontariamente e in piena coscienza” ma specifica di non avere mai dato il consenso per la loro diffusione. “Voglio giustizia – dice in Procura a ottobre – chiedo il sequestro di quei siti che mi stanno rovinando la vita”. E già il 13 luglio 2015, nella memoria che aveva presentato al giudice civile di Aversa, chiedeva “la rimozione dei video da siti e motori di ricerca”.
Per Tiziana era ormai impossibile controllare gli effetti di quelle registrazioni: il 25 aprile un amico la chiama dicendole di averla riconosciuta in un video hard, che lei ricorda di avere inviato a uno dei quattro che poco dopo finirà indagato. Come tutti loro. Due giorni dopo una nuova segnalazione online, e ne arriva un’altra dopo una settimana.
Inizia la valanga: si moltiplicano pagine Facebook su di lei, le sue immagini su forum per adulti e soprattutto “profili fasulli con il suo nome e le sue foto tratte dai frame di quei filmati, seppure parzialmente coperte, per non incorrere nella censura del social network“. Un altro amico la contatta perché ha ricevuto le sue immagini su Whatsapp: quindi a ottobre torna in Procura per integrare la denuncia di maggio.
Ma per i pm il sequestro è inutile perché ormai i video sono stati scaricati e diffusi da centinaia di utenti. Arrestarne la circolazione, in sostanza, è impossibile. I pm ipotizzano il reato di violazione della privacy, ma nessuno risulta indagato. Aumentano angoscia e vergogna, arrivano i tentativi di suicidio. Fino alla tragedia del 13 settembre.