“Le riserve marine sono costituite da ambienti marini dati dalle acque, dai fondali e dai tratti di costa prospicienti che presentano un rilevante interesse per le caratteristiche naturali, geomorfologiche, fisiche, biochimiche con particolare riguardo alla flora ed alla fauna marina costiera e per l’importanza scientifica, ecologica, educativa ed economica che rivestono”.
Così recita al titolo V la legge 979 del 31/12, che ha previsto la costituzione lungo le coste italiane di 20 riserve marine, tra le quali quella di “Capo Rizzuto”. Una riserva naturale che interessa l’area marina costiera antistante i comuni di Crotone e Isola Capo Rizzuto, lungo la quale c’è il tratto da Torre Scifo verso località Alfiere. Una spiaggia d’incanto, sovrastata a nord dalla torre d’avvistamento cinquecentesca. Un autentico “luogo del cuore”, nelle immediate adiacenze del parco archeologico di Capo Colonna.
Con queste premesse, a chi verrebbe mai in mente di invadere questo paradiso terrestre con un spropositato villaggio turistico? Non solo qualcuno ci ha pensato, ma ha anche iniziato a realizzarlo, una volta ottenute le autorizzazioni necessarie. Già, perché il Marine Park Village, il villaggio turistico il cui progetto prevede 79 bungalow su basi di cemento armato, con accesso al mare, su un’area di circa 75.000 mq da Torre Scifo verso località Alfiere.
Non è la storia dell’ennesimo abuso. Almeno inizialmente, tutto in regola. Inspiegabilmente, visto che l’area abbonda di vincoli e restrizioni. Nel dicembre 2011 infatti il permesso a costruire rilasciato dal Comune di Crotone, nonostante il piano regolatore generale comunale all’articolo 73 del Capo 2 prevedeva in questa zona “l’esercizio dell’agriturismo […] come forma di offerta turistica”.
Prima, nell’ottobre 2008, l’autorizzazione paesaggistica della Provincia di Crotone e poi nell’aprile 2009 il parere favorevole della Soprintendenza ai beni architettonici e paesaggistici di Cosenza, anche se in mancanza del nullaosta paesaggistico. Ma l’area ha anche una documentata rilevanza archeologica, “sia in mare sia sulla terraferma”, scrive l’archeologa Margherita Corrado. Motivi per i quali la Soprintendenza dispone che “ogni operazione che comporti scavi di qualsiasi natura avvenga sotto l’alta sorveglianza di personale tecnico-scientifico specializzato”. Circostanza che non si verifica quando i lavori partono nel 2013. Ma intanto la procura della Repubblica presso il tribunale di Crotone apre un fascicolo d’indagine.
Nell’aprile 2014 l’intervento della Capitaneria di porto di Crotone, che procede al sequestro del cantiere a seguito dello sbancamento realizzato abusivamente per la discesa al mare del villaggio. Ma i lavori riprendono, nonostante le polemiche.
“Il Direttore generale archeologia riferisce che ‘ha potuto constatare, su segnalazione degli stessi archeologi della Soprintendenza, la presenza nell’area di estese superfici di frammenti fittili e di materiali di crollo, che individuano la presenza, altamente diffusa, di insediamenti, sia ellenistici che romani, per cui ha deciso di fornire alla Soprintendenza per l’Archeologia della Calabria le necessarie risorse finanziarie per avviare una campagna di indagini archeologiche finalizzate alla tutela archeologica dell’area‘”, assicura il ministro Franceschini rispondendo all’interrogazione nell’aprile 2015 del sen. Buemi del gruppo per le autonomie. Però non se ne fa nulla. Così come non arriva l’apposizione del vincolo archeologico che l’estrema rilevanza dell’area lasciava ipotizzare. Nessuna misura anche da parte del neo-Soprintendente alle province di Catanzaro, Cosenza e Crotone.
Forse anche per questo nel 2016 è un susseguirsi di decisioni controverse. A gennaio il provvedimento di inibizione/sospensione dei lavori emesso dal Soprintendente ad interim Salvatore Patamia, quindi, a maggio il pronunciamento a favore della proprietà da parte del Tar Calabria. A luglio, una nuova ordinanza di sospensione dei lavori, quindi a settembre la notizia che il Gip del Tribunale di Crotone avrebbe ordinato il dissequestro dell’area.
Tutto finito? Non ancora. La parola definitiva spetta al Consiglio di Stato che dovrà decidere sulla violazione delle norme urbanistiche e della legge sulle aree protette, sulla parziale occupazione e la realizzazione di interventi non autorizzati su demanio e sulla fascia dei trenta metri. Così quel frammento di paesaggio nel quale in nome del turismo selvaggio si vorrebbero calpestare restrizioni e vincoli continua ad essere in pericolo.