di Pia Starace
Si è appena chiusa l’80esima edizione della Fiera del Levante di Bari. Evento di enorme rilevanza per il Mezzogiorno e per il Mediterraneo, crogiolo di scambi commerciali, idee, invenzioni e persone. L’intento dichiarato è sempre più l’internazionalizzazione dell’economia e della società nell’aspirazione ad essere uno dei motori dello sviluppo economico del Sud-Est italiano, stimolando la competitività delle imprese e dei loro processi di innovazione organizzativa, gestionale e tecnologica, e dunque la creazione di nuovi posti di lavoro. Obiettivo onorevole e giustamente ambizioso, secondo quanto è riportato nel piano triennale 2012-14. Tutto sembra filare. Ma se qualcuno ha fatto una visita in Fiera non può non aver colto l’atmosfera da centro commerciale la domenica pomeriggio che vi si respira.
Il visitatore, con sguardo perso, completamente ignaro del senso della Fiera e della logistica dei vari stand nel quartiere, si aggira fra le affollate vie con un panino fra le mani, infilandosi ogni tanto in qualche padiglione di cui passa in rassegna l’esposizione con lo stesso interesse di quando guarda le vetrine in una galleria di negozi. L’acquisto poi è cosa ardimentosa perché arriva solo se la contrattazione appare vantaggiosa. Altrimenti ci sarà la possibilità dell’acquisto on line o dal negozio vicino casa dove si riesce a spuntare un prezzo inferiore. Si aggiunga a ciò la frammentazione delle esposizioni distribuite senza una logica nei vari padiglioni. Dall’edilizia abitativa ti ritrovi nel mondo delle creazioni fai da te e più avanti nell’universo alimentare del bio. Insomma, non si capisce granché. Non va bene così.
A mio avviso, una Fiera così importante, per conseguire lo scopo culturale/economico che si pone dovrebbe, in ingresso, dare il visitatore una sufficiente consapevolezza dell’esperienza che sta per intraprendere e, in uscita, avergli garantito un arricchimento dato dalla migliore comprensione delle potenzialità del territorio pugliese e delle possibilità lavorative che le realtà imprenditoriali in esso presenti sono in grado di offrire. Pertanto, oltre ai meritori incontri e convegni quest’anno particolarmente numerosi, sarebbe forse più proficuo individuare un filo conduttore che leghi gli apporti di ciascun partner ed espositore, quindi prevedere delle guide per illustrare le linee tematiche fra le realtà economiche o sociali in esposizione, e/o avvalersi di proiezioni informative ove possibile, collocare ciascun espositore secondo una distribuzione razionale/logica delle aree come si fa per le opere d’arte nelle mostre museali. Sarebbe l’occasione per dare ai diversi corsi delle Università della Regione Puglia uno spazio consono all’interno dei diversi contesti (il padiglione della comunicazione, o della internazionalizzazione, o della alimentazione biologica, o della edilizia, o delle forze dell’ordine ecc.) che ciascuno avverte come più appropriato, per esporre i propri risultati e metodi della ricerca scientifica, o per ospitare figure professionali emblematiche per determinati sbocchi lavorativi, per orientare i giovani sulla propria offerta formativa e dar vita a confronti e seminari su argomenti di attualità, e così promuovere la formazione universitaria.
Sono solo poche sommarie idee. Tuttavia, una Fiera che accantoni l’immagine del visitatore sbandato col souvenir in tasca preso alla galleria delle Nazioni, e che invece lo coinvolga come parte attrice di un territorio che lavora alacremente per affermarsi ed evolversi sulla scena nazionale e internazionale, sviluppando al meglio la sua vocazione commerciale, centrerebbe pienamente il suo obiettivo, e indurrebbe in ultima istanza il consumatore a spendere il suo denaro con maggiore consapevolezza, fiducia e ottimismo.
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