A oltre due mesi dalla liberazione, gli osservatori denunciano la mancanza dei servizi essenziali nel centro abitato. Il governatore della regione dell'Anbar, Sabah Karhut: il rientro degli abitanti "incoraggerà molti a lavorare per il ritorno e la riabilitazione della città”. Continuano, intanto, nell'area di Baghdad, le tensioni confessionali fra sunniti e sciiti
Continua l’attesa per l’offensiva su Mosul. Nonostante l’esercito regolare iracheno, insieme ai peshmerga, i miliziani sciiti e sunniti, sia da molti mesi alle porte della città, non è ancora stato dato il via attacco finale per strappare la città allo Stato Islamico. Il ritardo deriva dalla mancata intesa fra le forze schierate nei pressi della città irachena sulla spartizione amministrativa e territoriale dopo che il califfato sarà sconfitto. Mentre a Fallujah, caduta nelle mani dei jihadisti nel gennaio 2014 e liberata a giugno, si assiste alle prime difficoltà, derivanti dalla gestione post-Isis.
Macerie e crateri lasciati dai bombardamenti. E’ quello che ha trovato sabato il primo gruppo di sfollati tornando nella città, a oltre due mesi dalla liberazione da parte delle forze di sicurezza irachene, affiancate da miliziani sciiti. Il ritorno di questi abitanti è stato accompagnato da critiche da parte di osservatori che hanno segnalato che il reinsediamento non è stato organizzato nei dettagli, evidenziando che la città ha grossi problemi nella fornitura dei servizi primari.
Il governatore della regione dell’Anbar, Sabah Karhut, ha difeso la sua scelta dichiarando ai giornalisti che “le famiglie sfollate sono state fatte tornare nei quartieri a Nord della città, dove il livello di distruzione non è paragonabile a quello del resto di Fallujah”. Di tutt’altro avviso è il professor Fadel Badrani, originario di Fallujah, che ha visitato la città due settimane prima che gli sfollati arrivassero: “C’è un grave problema per la fornitura dei servizi essenziali, come acqua ed elettricità”.
In aggiunta al deficit dei servizi, Badrani ha evidenziato il problema sanitario dovuto “ all’accumulazione dei rifiuti e dei cadaveri dei combattenti che non sono stati portati via”. A chi lo ha accusato di essere stato troppo avventato nello scegliere di far tornare gli sfollati, il governatore Karhut ha voluto rispondere sottolineando il valore simbolico del ritorno che “incoraggerà molti a lavorare per il ritorno e la riabilitazione della città”, a prescindere dall’erogazione dei servizi.
La situazione degli sfollati della regione dell’Anbar continua ad essere complicata. A est di Baghdad, sono stati trovati i cadaveri di una coppi di profughi, originari di Fallujah. Un testimone, Amar Yousef al Noury, ha raccontato ad Al Quds al Araby, quotidiano panarabo basato a Londra, che Hashim e Farah – la coppia di sposi uccisa – vivevano nel suo stesso campo profughi, Al Mansur, a nord della capitale irachena. “Hanno ricevuto una telefonata da sconosciuti – ricorda al Noury – che li hanno invitati a uscire dal campo per incontrarsi. Poi – prosegue Al Noury – mi hanno avvertito che si sarebbero recati dal medico in via Palestina” e da quel momento sono spariti.
I cadaveri dei coniugi sono stati rinvenuti in una via a est di Baghdad, area dove sono molto attive varie milizie. Al Quds riporta che diversi gruppi armati hanno minacciato gli sfollati, provenienti sopratutto dalla regione dell’Anbar, un tempo a maggioranza sunnita, chiedendogli di lasciare i campi a Baghdad e di far ritorno alle loro città. Un esempio delle costanti tensioni confessionali fra sunniti e sciiti, che non risparmiano chi è scappato dall’Isis.