Chiesto il giudizio per il 27enne marocchino e altri tre uomini. Nelle intercettazioni gli indagati si dicevano pronti al martirio. Invocato il processo anche per un presunto foreign fighter di 21 anni che risulta latitante perché si troverebbe in Siria a combattere
Era pronto “alla macellazione degli infedeli” Abderrahim Moutaharrik, come diceva in una intercettazione e così non sorprende sapere che il campione internazionale di kickboxing finito in carcere lo scorso aprile per terrorismo internazionale, che gli investigatori della Digos hanno trovato, nelle perquisizioni successive all’arresto, un “pugnale da combattimento” simile a quello usato “da un miliziano del ‘Califfato'” su una persona “decapitata” e che si vede in “un filmato” trovato nello smartphone del marocchino. Emerge anche questo dagli atti dell’inchiesta conclusa con la richiesta di giudizio immediato per i quattro uomini pronti al jihad.
Per loro la Procura di Milano ha chiesto il processo con rito immediato oltre Moutaharrik, 27 anni, marocchino residente a Lecco, sua moglie Salma, Abderrahmane Khachia, 23 anni, anche lui marocchino, residente in provincia di Varese e Wafa Koraichi, 24 anni, sorella di un marocchino che con la moglie italiana e i tre figli si troverebbero in Siria. Stando alle indagini, coordinate dal procuratore aggiunto Maurizio Romanelli e dai pm Enrico Pavone e Francesco Cajani, Moutaharrik avrebbe ricevuto un ordine direttamente dal Califfato, lo scorso aprile, con un messaggio in “arabo classico” inviato sul suo cellulare tramite WhatsApp: “ascolta lo Sceicco, colpisci!(…) fai esplodere la tua cintura nelle folle dicendo ‘Allah Akbar'”. E alla richiesta di quella voce cantilenante che, attraverso un “poema bomba“, lo invitava a compiere un attentato in Italia, lui non avrebbe avuto intenzione di sottrarsi.
Anzi, stando alle indagini, ci sarebbero stati Roma e il Vaticano tra i possibili obiettivi. Il marocchino e la moglie, secondo l’accusa, stavano organizzando un viaggio per raggiungere la Siria dove, assieme ai loro due bimbi di 4 e 2 anni, sarebbero andati a combattere per il sedicente Stato Islamico. E l’uomo avrebbe dato la propria “disponibilità a compiere le azioni terroristiche richieste, chiedendo soltanto che i figli potessero raggiungere lo stato islamico prima di passare all’azione”. “Vedendo le immagini dei bambini martoriati volevo andare in Siria ad aiutare la popolazione e non arruolarmi nell’esercito dell’Isis“, ha detto Moutaharrik, lo scorso 2 maggio, cercando di difendersi nell’interrogatorio di garanzia. La richiesta di processo con rito immediato (si salta la fase dell’udienza preliminare) con al centro l’accusa di terrorismo internazionale dovrà essere ora valutata dal gip Manuela Cannavale e, in caso di via libera, gli imputati avranno tempo per chiedere riti alternativi.
Sempre oggi il pm di Milano Piero Basilone ha chiesto il rinvio a giudizio per Monsef El Mkhayar, presunto foreign fighter marocchino di 21 anni accusato di terrorismo internazionale e destinatario di un’ordinanza di custodia cautelare ma latitante, perché si troverebbe in Siria a combattere con le milizie del sedicente Stato Islamico.