“La strada dell’impiego degli antibiotici potrebbe essere arrivata quasi alla fine – è stato il primo commento ai media Usa di Thomas Friedman, direttore dei Centers for disease control and prevention (Cdc), alla notizia dell’arrivo del nuovo super batterio negli Stati Uniti -. È una situazione in cui non abbiamo nulla da offrire a pazienti in reparti intensivi, o con semplici infezioni urinarie. Possiamo dire che già oggi per alcuni pazienti l’armadietto dei medicinali è vuoto. La preoccupazione è alta – ha sottolineato il direttore dei Cdc -, ed è necessario agire con urgenza”.
Il ruolo della ricerca
Ecco perché la comunità internazionale ha deciso d’intervenire ai massimi livelli. Ma che cosa si può fare in concreto per scongiurare la minaccia per la salute pubblica rappresentata dai super batteri? “C’è una lista di azioni necessarie e urgenti su cui occorrerebbe concentrarsi per vincere la sfida contro questa minaccia globale”, spiega all’AdnKronos Salute Alberto Mantovani, direttore scientifico dell’Irccs Istituto clinico Humanitas di Rozzano, alle porte di Milano, e docente di Humanitas University.
Pochi i punti sui quali, secondo Mantovani – tra gli scienziati più citati al mondo – è prioritario soffermarsi. “Il primo – sottolinea lo scienziato all’AdnKronos – è fare più ricerca, sia per lo sviluppo di nuovi antibiotici sia per indagare sul rapporto dei germi resistenti con il sistema immunitario. Al momento, infatti, non capiamo ancora perché in alcune situazioni riusciamo a tenere i batteri sotto controllo e in altre no. Il capitolo dei nuovi antibiotici era stato messo da parte dall’industria per motivi economici. Ora – sottolinea Mantovani -, mi sembra che si assista a una ripresa. Ricordo, a questo proposito, che il nostro Paese ha una straordinaria tradizione per la ricerca e la scoperta di antibiotici. La rifampicina, che ha cambiato la storia naturale del batterio della tubercolosi, è stata, ad esempio, scoperta in Italia.