Aveva una “contiguità” con le tre mafie italiane l’organizzazione transnazionale di trafficanti di droga colpita dall’operazione “Ring New” della Guardia di finanza di Brescia che ha portato a 99 arresti e a maxi sequestri di cocaina, hashish e marijuana in Italia e in Europa. Al centro dell’indagine durata più di cinque anni, coordinata dalla Dda bresciana, un articolato gruppo criminale albanese in grado di dialogare, secondo la ricostruzione degli inquirenti, con le più temibili organizzazioni mafiose italiane: la ‘ndrangheta calabrese, la camorra campana e la Sacra corona unita pugliese. Che non si facevano la guerra, anzi collaboravano al traffico di droga che dai Paesi produttori arrivava in Italia a tonnellate ogni mese, dall’Albania alle coste della Puglia e della Calabria, o via terra dal nord Europa dopo lo scalo in Spagna per la cocaina proveniente dal Sud America.

I due capi dell’organizzazione attualmente detenuti in Belgio, i fratelli albanesi Dhimiter e Xhevahir Poti, si servivano delle mafie italiane – raccontano gli investigatori – come “supporto logistico” per le operazioni di smercio della droga, a seconda dell’influenza di ciascuna famiglia mafiosa sui rispettivi territori: la marijuana proveniente dall’Albania, portata in Italia sui pescherecci, arrivava sulle coste del sud della Puglia o nel porto di Crotone per essere affidata ai referenti criminali pugliesi e calabresi. Dello smercio in Campania si occupava invece la camorra. La cocaina arrivava in Spagna dall’America Latina, invece, prima di essere trasportata in Belgio – dove il gruppo aveva la sua base logistica – e spedita in Italia, sui mercati di Milano e Brescia, grazie a società di copertura nel settore dei trasporti. L’associazione criminale sarebbe stata direttamente proprietaria di una società di diritto bulgaro, operativa nel settore della logistica, con dipendenti di nazionalità greca, in grado di offrire il servizio di trasporto droga anche per conto terzi. Le partite di stupefacenti entravano in Italia nascoste tra il pesce e la verdura, o in grossi camper e furgoni che trasportano agrumi dalle regioni del sud Italia.

“Abbiamo cercato di condurre indagini sempre mirate al livello dei grossisti e non degli spacciatori – spiega a ilfattoquotidiano.it il colonnello Michele Esposito del Gico di Brescia – e per questo è stato importante, oltre al coordinamento giudiziario di Eurojust, la cooperazione delle forze di polizia dei vari Paesi, perché il traffico di droga è ormai un fenomeno transnazionale e si può contrastare solo sul piano globale”. Agli indagati è stata contestata l’aggravante della transnazionalità, previsto per i gruppi criminali attivi in più di uno Stato, che prevede l’aumento della pena da un terzo alla metà. L’operazione “Ring New” era partita nell’ottobre 2011 dal monitoraggio dello spaccio nel centro di Brescia, all’interno della cintura del “ring”, la circonvallazione che circonda il centro storico. Grazie alle intercettazioni telefoniche e alle attività investigative, svolte anche all’estero, gli inquirenti hanno potuto accendere i riflettori sui collegamenti che gli indagati bresciani intrattenevano con un gruppo di connazionali radicato a Milano, che a sua volta riceveva grossi rifornimenti di droga dall’organizzazione transnazionale greco-albanese. E sono riusciti a scoprire i collegamenti della struttura dei grossisti della droga con la criminalità organizzata italiana, dalla ’ndrangheta, alla camorra, alla Sacra corona unita. Contatti che i criminali albanesi riuscivano a gestire non solo con una, ma in modalità “liquida” con tutte e tre le più potenti mafie della penisola.

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