Un’area arida di altopiani rocciosi punteggiata da piccole oasi e laghi salmastri, con un clima caldo e afoso, ma con straordinarie risorse idriche ed energetiche. Attraversata da trafficanti di esseri umani, bande armate di criminali comuni, ma anche gruppi jihadisti legati ad al-Qaeda e persino il sedicente Stato islamico (Is) che ha proclamato il wilayat, cioè il governatorato. C’è tutto questo nel Fezzan, una delle tre macroregioni della Libia insieme a Cirenaica e Tripolitania, dove sono stati rapiti i due tecnici italiani, Bruno Cacace e Danilo Calonego, che lavoravano all’aeroporto di Ghat come dipendenti della Con.I.Cos di Mondovì. La stessa area in cui nasce il Great Man-made River, il celebre acquedotto voluto da Gheddafi che preleva l’acqua fossile nelle profondità del Sahara e la conduce alle città della costa. Qui c’è anche l’importante giacimento petrolifero di Kufra.
Il controllo di questa regione ha effetti decisivi sulla vita degli abitanti del nord. Dipende dal Fezzan – evidenzia un rapporto del Combating Terrorism Center dell’Accademia militare di West Point – se a Tripoli si accendono le luci dei lampioni in strada o se a Bengasi esce l’acqua dai rubinetti. Dal Fezzan passano, inoltre, le principali rotte del traffico di droga, ma anche miliziani armati e ondate di migranti africani che dai Paesi sub-sahariani sognano di raggiungere le coste europee.
La regione è da anni teatro di forti tensioni tribali tra Tuareg e i Tebu, i due principali gruppi che, in assenza di un’autorità statale, si sfidano per il controllo del territorio e che, tramite le loro milizie, hanno stabilito una sorta di ‘ordine’, pattugliando i confini – assai porosi a dir la verità – e garantendo una loro ‘sicurezza’.
I conflitti tribali, latenti per anni, sono scoppiati con l’inizio della rivoluzione libica nel 2011. Malgrado i tentativi di pacificazione, il più incisivo dei quali è stato l’accordo che rappresentanti dei Tebu e dei Tuareg hanno firmato nei mesi scorsi a Roma con la mediazione della comunità di Sant’Egidio, il quadro etnico del sud resta più che complesso ed è in potenza un fattore di forte destabilizzazione. I contrasti tra Tebu e Tuareg nascono proprio dallo scontro per il controllo del potere e del territorio nel quale i due gruppi convivono. Entrambi hanno visto nella caduta di Gheddafi la possibilità che si potesse aprire una nuova fase che avrebbe permesso di espandere la loro influenza nella regione, con ovvie ricadute economiche.
Durante il periodo coloniale ottomano e poi italiano, il sud della Libia è stato un luogo di rifugio per gruppi politici, tribali e religiosi che sono venuti in conflitto con le autorità. Più di recente, è diventato lo spazio operativo per gruppi estremisti costretti a lasciare le zone limitrofe, come ad esempio il nord del Mali. Sempre più analisti concordano sulla possibilità che, con l’avanzata dell’offensiva contro lo Stato Islamico a Sirte, quest’area strategica nel sud della Libia potrebbe diventare una nuova base degli estremisti islamici. Già due anni fa il ministro della Difesa francese, Jean-Yves Le Drian, non esitò a definire il sud della Libia un “nido di vipere, in cui i jihadisti stanno tornando, acquisendo armi e facendo reclutamento“.