Inchiesta della Dda di Napoli su una maxi speculazione edilizia con il reimpiego dei capitali dei Nuvoletta-Polverino. Secondo il gip, Donato Ceglie, per anni punto di riferimento di Libera e Legambiente, e ora sospeso con accuse gravissime, era una delle "fonti informative occulte" del gruppo di affari. Per la Finanza, dopo i suoi presunti consigli, “le attività di intercettazione hanno una battuta d’arresto"
“Siete sicuramente intercettati… te lo metto per iscritto…”. E da chi arriva questa dritta utile per mettere in guardia gli indagati di quella che la Dda di Napoli – pm Fabrizio Vanorio, procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli – ritiene una maxi speculazione edilizia con il reimpiego dei capitali del clan Nuvoletta-Polverino? Arriva da Donato Ceglie, il magistrato anticamorra delle battaglie ambientaliste, attualmente sospeso dalla magistratura con accuse gravissime.
Le indagini del Gico di Napoli, condotte dal compianto capitano Antonio Riccardelli, hanno rivelato che Ceglie, all’epoca in servizio presso la Procura Generale di Napoli, faceva parte di quelle “fonti informative occulte quanto illecite, in merito a notizie evidentemente coperte dal segreto istruttorio” che secondo il gip Claudio Marcopido hanno aiutato l’imprenditore della ristorazione Roberto Imperatrice, il consulente fiscale Giovanni De Vita e il costruttore Carlo Simeoli (genero di Angelo Simeoli, collegato al clan Polverino). I tre erano accomunati dall’intento di portare a termine i progetti della “Immobiliare Belvedere”, da realizzare anche tramite l’investimento di 300.000 euro di provenienza camorristica: un maxi parcheggio di 122 box al Vomero di Napoli, un supercinema in Calabria. Imperatrice, De Vita e Simeoli sono finiti in carcere. Della loro rete di fonti illecite avrebbe fatto parte, inconsapevolmente, anche il generale della Finanza Giuseppe Mango, comandante interregionale del Veneto e in procinto di diventare il numero due del Corpo. Per Mango, indagato per rivelazione del segreto d’ufficio ma estraneo al filone “Immobiliare Belvedere” e camorra, la Dda ha stralciato la posizione. Su Ceglie procede la Procura di Roma, competente per i reati della magistratura napoletana, che come rivelato lo scorso novembre da ilfattoquotidiano.it, lo ha già indagato per abuso d’ufficio, una presunta violazione fiscale e corruzione aggravata dall’aver agevolato il clan dei Casalesi, reato quest’ultimo caduto in prescrizione. Dalle intercettazioni emergevano contatti con soggetti legati al crimine organizzato e parole pesantissime pronunciate da Ceglie contro magistrati impegnati nel contrasto alle mafie.
Dopo l’indagine penale, a marzo il Csm ha provveduto a sospendere il magistrato. Ceglie è imputato anche in un altro procedimento penale davanti al Tribunale di Roma nel quale il pm ha chiesto per lui una condanna a 6 anni di carcere. Ma torniamo agli ultimi fatti emersi sul conto di Ceglie, negli anni punto di riferimento di Libera e Legambiente, insignito anche del premio Don Peppe Diana, e relativi all’indagine che tocca gli interessi del clan Polverino. La ricostruzione degli inquirenti indica Ceglie come persona vicina al gruppo di affari che ruota intorno a De Vita. E’ infatti amico di Raffaele Iovine, amministratore della Immobiliare Belvedere, agli arresti domiciliari nell’ambito di queste indagini.
Nel 2013 Iovine cerca Ceglie, su mandato di De Vita, per avere informazioni sul sequestro della società immobiliare e del cantiere. Le cimici dei finanzieri nello studio De Vita registrano conversazioni interessanti sulla natura di quelle informazioni. Il 10 settembre 2013 Iovine comunica a De Vita di avere appena incontrato Ceglie presso la Chiesa di Santa Patrizia di Napoli, in compagnia di “un suo amico sostituto procuratore che mi conosce benissimo”, e all’esito del colloquio col magistrato, gli suggerisce di non parlare con Simeoli, perché potrebbe cadere in contraddizione rispetto a quanto dichiarato agli inquirenti: “Ha detto non parlate con Simeoli… Voi avete dichiarato di non avere rapporti con… se poi parli al telefono… siete sicuramente… te lo metto per iscritto intercettati…”. De Vita prende atto del consiglio: “Io di Donato (Ceglie, ndr) mi fido perché è una persona operativa…”.
Due settimane dopo Iovine e Ceglie si scambiano sms per concordare un appuntamento: “Vorrei parlarti di un progetto”. “Caro Lello, chiamami, così ci accordiamo per un caffè”. Il caffè i due se lo bevono il 30 settembre nell’ufficio di Ceglie in Procura Generale. Viene fissato un successivo incontro per il 12 ottobre. Il pm Vanorio emette con urgenza un decreto d’intercettazione ambientale audio e video della stanza di Ceglie e autorizza un paio di finanzieri a compiere la missione. Nel giorno stabilito i due delle Fiamme Gialle si recano al Palazzo di Giustizia del Centro Direzionale e ne presidiano gli ascensori della Torre C, quelli che portano verso la stanza del magistrato. Uno sale al XII piano per gettare lo sguardo nell’ufficio di Ceglie, la stanza 33, e vedere se può infilarci le cimici e la microcamera. Si accorge che non c’è ancora nessuno. Ma un carabiniere di guardia gli chiede cosa ci fa a quel piano, e il finanziere per non bruciare le indagini fa il vago e scende giù per non destare sospetti. L’appostamento non ha l’esito sperato: Iovine non viene, Ceglie nemmeno. L’incontro è saltato. Ma a partire da quei giorni, scrive il Gico nell’informativa, “le attività di intercettazione ambientale nello studio di De Vita hanno una battuta d’arresto o comunque una sensibile riduzione della genuinità rispetto al passato”. Il gruppo d’affari ha mangiato la foglia. Probabilmente la soffiata di Ceglie è stata utile.
di Vincenzo Iurillo e Nello Trocchia