Emma Giuliani, 30enne romana, si è trasferita nel Michigan nel 2013. Vuole diventare esperta di infertilità. "Qui lavoro almeno 80 ore a settimana, ma guadagno tre volte di più di quanto non avrei fatto a casa". E sugli spot pro-maternità del Ministero della Salute dice: "L'educazione va fatta nelle scuole e non tramite slogan"
“La fertilità è un tema importante e delicato, non ha senso parlarne per slogan”. Queste parole non arrivano soltanto da una donna rimasta perplessa per la campagna lanciata dal ministero della Salute per il Fertility Day poi radicalmente rivista, ma da un medico che sta dedicando i suoi studi a questo argomento. Emma Giuliani, nata a Roma 30 anni fa, mentre frequentava la facoltà di medicina a Tor Vergata già sapeva di volersi dedicare al problema dell’infertilità: “Mi è sempre piaciuto l’ambito della ricerca, ma ho capito subito che in Italia non c’erano abbastanza fondi e che il nostro era un Paese troppo tradizionalista per riuscire ad affrontare questi studi in maniera libera”, racconta. Un modello troppo “paternalistico”, che non si è smentito nemmeno nelle ultime settimane, quando è scoppiata la polemica intorno al Fertility Day.
La notizia è arrivata fino a Grand Rapids, in Michigan, dove Emma vive dal 2013: “L’idea di una campagna per diffondere un po’ di educazione sul tema è giusta – sottolinea Emma -, ma quei cartelli diffusi con il primo lancio dell’iniziativa hanno avuto l’effetto opposto, non erano affatto delicati”. E allora come parlarne? “L’educazione deve partire dalle scuole, dalle università, non con una campagna pubblica di quel tipo – spiega -, è un tema che va spiegato con impegno e attenzione”.
L’argomento, infatti, resta di grande attualità: “Oggi si tende a rimandare sempre di più il momento della gravidanza, anche perché non sempre ci sono le condizioni per concepire un figlio in giovane età – ammette -, ma è importante rendersi conto che avere un figlio a 40 anni è diverso, è più complesso, le persone devono sapere quello a cui andranno incontro”. Già, perché il tema della fertilità in Italia è spesso un tabù: “L’influenza della Chiesa è ancora troppo forte – ammette -, ci sono ancora troppe limitazioni, ed è un peccato perché il nostro Paese è pieno di specialisti bravissimi”.
Per riuscire a conquistare il suo American Dream Emma ha dovuto faticare parecchio: “Il processo per il riconoscimento della laurea in medicina è durissimo, perché qui cercano di tutelare il più possibile i loro studenti – ammette -, ma dopo svariati test e applicazioni sono riuscita a ottenere il mio posto nella Michigan State University come specializzanda in Ginecologia e Ostetricia”. E le sue aspettative non sono state deluse: “Qua fin dal primo giorno ti buttano nella mischia, sei tu il responsabile di tutti i tuoi pazienti, gli strutturati intervengono solo in caso d’emergenza”, racconta.
Le cose da fare, poi, non mancano mai: “Lavoro almeno 80 ore a settimana, ma guadagno tre volte di più di quanto non avrei fatto in Italia”, sottolinea. Gli Usa, però, sono soprattutto un ottimo terreno in cui farsi le ossa: “In Italia c’è sempre una struttura gerarchica da rispettare e c’è poco spazio all’esperienza in sala operatoria – sottolinea -, io qui ho eseguito in prima persona più di 400 tagli cesarei e oltre 200 chirurgie ginecologiche, trovando anche il tempo per fare ricerca e pubblicazioni”.
Tra un anno Emma finirà la specializzazione ed è tempo di pensare al futuro: “Il mio desiderio è diventare specialista in infertilità – ammette -, ma vincere la borsa di studio non è facile, ce ne sono solo 32 ogni anno, per questo ora sto facendo colloqui praticamente per tutti gli Stati Uniti”.
Ma qui Emma non ha trovato solo il lavoro che sognava: “Mi sono sempre sentita una cittadina del mondo, ma devo dire che gli americani mi hanno accolta a braccia aperte – ammette -, non potrei essere più felice”. Per ora il ritorno in Italia non è rientra nei suoi piani: “Qui ho incontrato anche mio marito, che è americano, quindi non penso sarebbe facile trovare un buon posto in Italia per entrambi, ma mai dire mai nella vita”, ammette. Un po’ di nostalgia, a volte, si fa sentire: “Mi mancano molto la famiglia e gli amici – sottolinea – e quello che mi pesa di più è che il fuso orario non mi permette di alzare il telefono per chiamarli in qualsiasi momento”. Se mai un giorno Emma deciderà di tornare in Italia, le mancheranno principalmente due cose del suo paese d’adozione: “Quel minestrone di culture che è l’America e il fatto che non importa se sei uomo o donna, qui se fai del tuo meglio puoi arrivare ovunque”.