Nel suo libro Status quo l'ex consigliere di Palazzo Chigi racconta il fallimento del governo nel ridurre davvero la spesa pubblica e eliminare privilegi. Dalla cancellazione "per sospetta incostituzionalità" di una norma che avrebbe irrobustito i paletti agli stipendi dei manager pubblici fino ai compensi dei consiglieri regionali, che salgono nonostante il tetto. Le partecipate? "Nella riforma nessuno spunto pratico per ridurle". Risultato: poche risorse per le fasce più deboli, fiducia dei cittadini nello Stato a picco
Il taglio dei compensi ai consiglieri regionali? In nove Regioni la busta paga netta è più pesante oggi che nel 2010, perché l’aumento del rimborso spese ha più che compensato la riduzione dell’indennità di carica. La (apparentemente) straordinaria riduzione delle auto blu, scese dalle 66mila del 2014 alle 22mila del 31 dicembre 2015? Illusione ottica dovuta al fatto che metà delle Asl e dei Comuni ha smesso di fornire i dati al dipartimento della Funzione pubblica. La stretta sulle partecipate di Stato ed enti locali promessa in seguito al decreto attuativo della riforma Madia? “Non c’è niente nella riforma che offra uno spunto pratico per ridurne il numero”. Intanto restano invariati i sussidi pubblici al cinema (200 milioni l’anno), all’ippica (altrettanto), all’editoria (idem). Quanto agli altri contributi statali alle imprese, sono così dispersi in mille rivoli che “ancora adesso nessuno nel governo ne ha contezza“. Leggendo il libro di Roberto Perotti, ex consigliere economico del governo per la revisione della spesa dimessosi lo scorso novembre, è subito chiaro perché l’economista bocconiano l’abbia intitolato Status Quo – Perché in Italia è così difficile cambiare le cose (e come cominciare a farlo).
“Mancanza di preparazione e superficialità”. Così la spending ha fatto flop – La tesi è che il suo lavoro, così come quello dell’attuale commissario Yoram Gutgeld, del predecessore Carlo Cottarelli e di tutti gli altri esperti che negli anni si sono passati la staffetta a Palazzo Chigi, è stato un buco nell’acqua. Per scelta della politica, che con una mano ha tagliato (i 25 miliardi rivendicati dal premier Matteo Renzi e dal ministero dell’Economia Pier Carlo Padoan), con l’altra ha rimpinguato altri capitoli di spesa. Risultato: tra 2014 e 2016 il taglio effettivo si è fermato allo 0,4% del pil. Ed è pure sovrastimato, perché gran parte del risparmio consiste in minori trasferimenti agli enti locali che possono reagire aumentando le tariffe. In particolare la legge di Stabilità per quest’anno, a cui Perotti era stato chiamato a contribuire studiando come e dove sforbiciare le agevolazioni fiscali, “come unico vero taglio di spesa proponeva 2 miliardi di taglio alla sanità ma nessuno ai costi della politica né ai tanti privilegi dei dirigenti di vario tipo”.
Scelta consapevole? Più che altro frutto di “pigrizia intellettuale“, “mancanza di tempo, voglia o preparazione”, “superficialità” nell’usare i soldi dei contribuenti, “faciloneria” e “assenza di una lista di priorità“, è la diagnosi dell’accademico e ricercatore del National bureau of economic research di Boston nonché fellow del Center for economic policy research di Londra, che raccontando i due anni di collaborazione con il governo si leva più di un sassolino dalle scarpe.