Caso emblematico dei grandi risparmi annunciati all’opinione pubblica ma finiti in nulla è quello dei compensi dei consiglieri regionali, cui nel 2011 il governo Monti ha posto un tetto di 11.100 euro lordi tra indennità, diarie e rimborsi a forfait. Come è possibile allora che, dai calcoli di Perotti, risulti che “il compenso medio netto di tasse è sceso da 7735 a 7316 euro, una riduzione di solo il 5 per cento”, e “in ben nove regioni il compenso netto è più alto nel 2016 che nel 2010”? Semplice, i paletti dell’ex premier valgono solo per la remunerazione totale e non per le sue componenti. Così, con un perfetto gioco delle tre carte, Veneto, Friuli, Piemonte, Toscana, Lazio, Abruzzo, Umbria, Basilicata e Molise hanno “diminuito di molto l’indennità di carica (tassata) e aumentato il rimborso spese per l’esercizio del mandato (non tassato)”. Et voilà. Abilissimo poi Raffaele Cattaneo, presidente del consiglio regionale della Lombardia, che ha vantato una riduzione dei costi della politica in Lombardia da 27 a 10 milioni tra il primo semestre del 2013 e lo stesso periodo del 2014. Solo che il dato del 2013 era gonfiato dall’indennità di fine mandato (nella primavera 2013 si erano tenute le elezioni regionali) e dalla voce “restituzione dei contributiai consiglieri che, in cambio, hanno rinunciato al vitalizio. Insomma: la riduzione effettiva è stata di 3 milioni, non 17.

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