Oggi è il giorno della fertilità. Evviva, finalmente un governo che si occupa della nostra capacità riproduttiva. Anzi si preoccupa della mio apparato riproduttivo, della salute, delle mie abitudini alimentari e non. Il ministro Beatrice Lorenzin dal 2015 ha lanciato la campagna “Futuro fertile. Figli si nasce, genitori si diventa”.
Resta un piccolo problema: si può diventare mamme e papà non solo se tutto funziona bene ma se si ha anche (dato non da poco) la possibilità di stare insieme, di vivere sotto lo stesso tetto, di trascorrere qualche ora nello stesso letto.
Mi son chiesto, infatti, che penseranno oggi le migliaia di insegnanti trasferiti dal sud al nord, soprattutto donne costrette a stare lontane dai mariti e dai propri compagni. Nel giorno della fertilità forse dovranno mandarsi gli spermatozoi per posta o pensarsi così intensamente da sperare in un nuova e moderna “annunciazione”.
L’unica programmazione possibile per queste donne insegnanti può essere quella di prendere in mano il calendario dell’ovulazione e contare i giorni per far coincidere quelli “buoni” con il ritorno a casa, sperando che cadano nel fine settimana quando, suonata l’ultima campanella, il venerdì possono prendere il treno e correre ad abbracciare il marito o il compagno.
I nostri giovani più che fare i conti con la loro fertilità sono costretti a misurarsi con i problemi che impediscono loro di diventare genitori. Nei giorni scorsi Anna, una giovane docente trasferita al nord, mi ha scritto: “Ho il marito che non lavora e dobbiamo lasciare la casa a Napoli per la quale mi sono indebitata. Ora devo andare a Parma ma se mio marito non trova un’occupazione in Emilia non so come faremo”. Si dovranno dividere. Il giovane sposo a Napoli nella casa tanto sognata e la sua sposa a centinaia di chilometri da lui.
Immagino che hanno pensato i giovani nel leggere le cartoline di propaganda diffuse dal ministero e i consigli della pagina Facebook: “C’è una stretta correlazione tra fertilità ed età dei genitori, sia del papà che della mamma. Infatti se la fertilità femminile termina definitivamente con la menopausa, anche per l’uomo, sebbene la capacità di produrre spermatozoi non si interrompa, quantità e qualità diminuiscono gradualmente con l’invecchiamento”.
Il ministero forse non si è fatto qualche domanda dopo aver letto i dati Istat: nel 2014 sono stati iscritti in anagrafe per nascita 502.596 bambini, quasi 12mila in meno rispetto al 2013, 74mila in meno sul 2008. Il numero medio di figli per donna scende a 1,37 (rispetto a 1,46 del 2010). Le donne italiane hanno in media 1,29 figli, le cittadine straniere residenti 1,97; in quest’ultimo caso il calo è rilevante rispetto al 2008, quando avevano in media 2,65 figli.
Ma come si fa ad avere un figlio se si resta precari fino a quarant’anni? Come si può pensare di metter al mondo un bambino senza una casa? Senza uno stipendio fisso? Senza un lavoro? Il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) in Italia è del 39,2%. Il tasso medio dell’Eurozona è del 22%. Questi 39,2% di giovani disoccupati se non hanno avuto figli fino a oggi è solo una “benedizione”.
E chissà se oggi le donne disoccupate italiane penseranno alla loro fertilità o a un minimo di stipendio da portare a casa per garantirsi un briciolo di autonomia e finalmente lasciare la casa di mamma e papà? Un suggerimento al ministro: perché stamattina prima di andare in ufficio non si fa un giro in qualche centro per l’impiego o al mercato rionale ad ascoltare l’Italia reale magari chiedendo alle persone che ne pensano della loro fertilità?