BLAIR WITCH di Adam Wingard. Con James Allen McCune, Valorie Curry, Callie Hernandez. Usa, 2016. Durata 89’ Voto 3/5 (DT)
Blair Witch Project 17 anni dopo. Il fratellino minore della compianta e dispersa Heather torna nel bosco della strega di Blair con un gruppo di amici e un paio di giovinetti grunge locali per ritrovare il corpo mai rinvenuto della sorella. Pur dotati i partecipanti di nuovi attrezzi digitali, videocamerine stylo da tenere sull’orecchio, un drone e il gps, la maledizione colpisce di nuovo senza lasciare scampo. Ancora tra la frasche delle Black Hills in perenne soggettiva, ancora un disegno rigorosissimo formale sul punto di vista, ancora il ripetersi ciclico di quel senso di inquietudine tra intricati e sempre identici rami e cespugli senza via d’uscita, Blair Witch sembra all’apparenza un remake più che un sequel di uno dei classici moderni dell’horror.
Ma è proprio in questa sua latente mancanza di nuovi spunti narrativi, di linee del discorso che confluiscono con forza in un unico punto, gorgo, maelstrom dell’orrore, la strega che non si può guardare in faccia, che il lavoro di Wingard (scritto da Simon Barrett) acquisisce gradualmente un fascino preciso da horror contemporaneo. Rimasticati e schizzati sullo sfondo tutti gli spunti orrorifici possibili e geniali dell’ultimo decennio (REC, The Descent) come i peggiori rigurgiti di tv dell’orrore (Io e i miei parassiti), in Blair Witch assistiamo non tanto allo spavento di un fuori vista o dell’esibizione di un mostro, quanto ad un montare lento e inesorabile di un “male” che avvolge e travolge silenzioso, senza faccia e pietà, quasi a dirti che l’orrore in questi eterni livelli da videogame che siamo obbligati a seguire, stia nel pensiero più che nell’azione, annidato nel cervello dei protagonisti come in un delirio alla Cronenberg più che spiattellato sul muso come in un film gore anni ottanta. Sorprendente.