Depongono in aula i finanzieri che hanno condotto le indagini: tre aziende avrebbero finanziato la corsa a sindaco dell'esponente Pd attraverso il Consorzio Venezia Nuova. La testimonianza dall'interno di Nicolò Buson, ex responsabile amministrativo dell'azienda di Baita
Fatture “pilotate” per 110mila euro: una cifra destinata a finanziare la campagna elettorale del 2010 dell’allora candidato sindaco di Venezia Giorgio Orsoni. A rendersi protagoniste dell’operazione sarebbero state 3 aziende attraverso il Consorzio Venezia Nuova, allora presieduto da Giovanni Mazzacurati. È quanto è emerso dalle deposizioni fatte in udienza dai militari della Guardia di Finanza chiamati a testimoniare dai pm Stefano Buccini e Stefano Ancillotto al processo per la vicenda dei fondi neri connessi alla realizzazione del Mose – processo in cui compare, tra i vari imputati, anche il senatore ed ex Ministro Altero Matteoli.
La cifra in questione sarebbe riconducibile alla Coop San Martino (50mila euro), a Clea (30mila) e a Bosca (30mila), l’azienda di Nicola Falconi, anch’egli imputato per corruzione nello stesso processo. I 110mila euro costituiscono solo una parte dei fondi versati, e regolarmente denunciati, per sostenere la candidatura di Orsoni, che è indagato per finanziamento illecito e che però ha sempre sostenuto di non essersi mai occupato della raccolta dei finanziamenti per la propria campagna elettorale. Tuttavia, era stata proprio una telefonata intercettata tra Falconi ed un membro del consiglio direttivo del Cvn a convincere gli inquirenti circa la piena consapevolezza del primo cittadino riguardo l’identità dei suoi benefattori. Il 25 marzo 2010 Falconi rivelava al suo interlocutore che l’ex primo cittadino lo aveva avvicinato per ringraziarlo personalmente: “Siete un gruppo forte, siete degli amici veri, questa cosa sapevo che stava maturando ma non me l’avevano detta bene nei termini e tra l’altro sono davvero meravigliato dello sforzo addirittura superiore alle attese e ti ringrazio molto”.
Nel corso dell’udienza odierna, il sindaco Orsoni è stato tirato in ballo anche per un’altra faccenda: quella relativa al “giallo” del numero telefonico di Federico Sutto, uomo di fiducia di Mazzacurati, misteriosamente scomparso da un Ipad di cui Orsoni disponeva. L’ex sindaco ha sempre negato di conoscere Sutto, sul cui cellulare era salvato il numero di Orsoni. Il “giallo” riguarderebbe il fatto che anche nell’Ipad di Orsoni, almeno dall’8 giugno 2011 al 28 settembre 2013, il contatto telefonico di Sutto risultava in rubrica. La questione non è di secondaria importanza, dal momento che era proprio Sutto, secondo l’accusa, a consegnare il denaro in nero destinato a finanziare la campagna elettorale di Orsoni. Impossibile stabilire se i due abbiano avuto contatti e con che frequenza. Di certo qualcuno nel 2013 ha cancellato il numero di Sutto dallo strumento utilizzato dell’allora sindaco; la difesa di Orsoni ha chiesto che venga sentita una segretaria dell’ex sindaco per capire se lo strumento informatico potesse essere nelle disponibilità di altri.
Sul fronte delle aziende, invece, il dibattimento ha fatto emergere anche l’esistenza di un maxi fondo illecito utilizzato per agevolare la costruzione del Mose. Si tratta di 20 milioni di euro, tra denaro in nero e retrocessioni (ovvero restituzione di denaro dagli utili) che sarebbero stati raccolti tra il 2004 e il 2013 dalla ditta Mantovani, allora guidata da Piergiorgio Baita, e messi a disposizione del Cvn di Mazzacurati. A rivelarlo è stato Nicolò Buson, ex responsabile amministrativo della stessa Mantovani, anche lui arrestato nel febbraio 2013 e poi condannato a un anno e due mesi a seguito del suo ricorso al patteggiamento. Secondo il racconto di Buson, che ha detto di aver appreso di questi fatti direttamente da Baita, il denaro sarebbe servito a Mazzacurati per “spingere” sulla realizzazione del Mose anche attraverso contributi a politici e funzionari dello Stato.