Intensi bombardamenti aerei hanno colpito la scorsa notte i quartieri di Aleppo est, fuori dal controllo governativo, con testimoni oculari che denunciano l’uso di “bombe al fosforo“. Immagini trasmesse dall’Aleppo Media Center mostrano alcuni quartieri illuminati a giorno dalle esplosioni di colore bianco prodotte dagli ordigni. Secondo Ibrahim al Hajj, portavoce degli Elmetti bianchi, organizzazione di volontari siriani che assiste i civili nelle zone controllate dall’opposizione, i raid sono stati più di 200. “L’intera città era in fiamme stanotte”, ha detto al Hajj citato dalla Dpa. Non è chiaro chi abbia eseguito i raid aerei, ma gli attivisti puntano il dito contro Damasco e Mosca.
Gli echi della recrudescenza del conflitto in Siria, che segnano di fatto la ripresa della carneficina, sono arrivati a New York. Al’assemblea del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, John Kerry ha chiesto che tutti gli aerei restino a terra nelle “aree chiave”. “Per ridare credibilità a questo processo dobbiamo immediatamente tenere tutti gli aerei a terra”, ha detto il segretario di Stato, sottolineando come “gli Usa credono ancora che ci sia una via per uscire dalla carneficina siriana”.
Da Mosca arriva immediato un “no”: per il vice ministro degli Esteri russo, Serghiei Riabko, la proposta di Kerry “non è attuabile”. “Penso – ha spiegato Riabkov, citato dalla Tass – che questa proposta rifletta la posizione di Washington sulla responsabilità di Damasco e, come loro sostengono, della parte russa per l’attacco contro il convoglio umanitario”, riferendosi al bombardamento del 19 settembre contro un convoglio umanitario della Nazioni Unite diretto verso i quartieri assediati di Aleppo. “Questo schema non funzionerà – ha concluso Riabko – almeno fino a quando gli Stati Uniti e gli altri attori coinvolti in questo processo non faranno sì che i gruppi che vedono la guerra come l’unico modo per risolvere il problema smettano di usare la forza”.
Mentre nei salotti della diplomazia internazionale Usa e Russia non riescono a trovare un accordo, governo e opposizione sono invece riusciti a raggiungere un accordo per lo sfollamento dei civili e dei combattenti da Al Waer, quartiere di Homs, assediato dalle truppe di Damasco. Le prime 400 persone, fra combattenti e civili, sono stati fatti uscire dal quartiere ribelle e caricati su dei pullman in direzione di alcune località a nord di Homs.
Ma questo accordo, in cui l’Onu non è coinvolto, non è il primo. Il mese scorso 8.000 persone, fra ribelli e civili, avevano raggiunto un’intesa con il governo di Damasco per lasciare Daraya, un sobborgo della capitale siriana a lungo assediato dai lealisti, verso Idlib, città in mano dell’opposizione e sotto costante bombardamento. Il mese scorso Anas Abdah, presidente della Coalizione delle opposizioni siriane, aveva fatto appello ai “ministri degli Esteri del Gruppo di sostegno internazionale alla Siria” affinché “Al Waer non venisse sacrificato sull’altare dell’immobilismo internazionale” e non andasse incontro allo stesso destino di Daraya, costretto alla resa e teatro dell’esodo forzato dei civili che vi vivevano e del trasferimento in massa, equivalente a una “pulizia etnica”.