Hare Krishna. Hare Krishna. Krishna Krishna. Hare Hare. Martedì 4 ottobre, dalle 17 alle 19, alla Camera dei Deputati si sentirà qualcosa di nuovo: il rituale bhajan, il canto devozionale induista che gli Hare Krishna hanno fatto conoscere in tutto il mondo. A intonarlo saranno oltre un centinaio di monaci e di devoti della Iskcon, la Società internazionale della coscienza di Krishna, che per celebrare il cinquantesimo anniversario della fondazione riusciranno a varcare, per la prima volta, le porte del Parlamento italiano. Grazie all’interessamento del Partito democratico. E senza nessuna ostilità o protesta da parte degli altri gruppi.
STATE SERENI I primi a essere stupiti, in effetti, sono proprio loro. «Fino a un anno fa era solo sogno», ammette Parabhakti Das, al secolo Mauro Bombieri, vicepresidente della Iskcon Italia e responsabile di Villa Vrindavana, il primo grande tempio degli Hare Krishna in Italia, a San Casciano Val di Pesa. Ma con l’aiuto di un amico musicista «dalle amicizie influenti», Narada Muni Pradhu (Fabio Pianigiani, autore per Alice e Battiato) e il sostegno di Ugo Papi, ex consigliere di Massimo D’Alema alla Farnesina e di Piero Fassino in Birmania, oggi responsabile Asia per il Pd e consulente della commissione Esteri alla Camera, molto amico dei devoti, a Montecitorio è successo il miracolo: l’aula dei gruppi sarà a disposizione della Iskcon per un convegno cui parteciperanno l’ambasciatore indiano Anil Wadhwa, la sociologa Maria Immacolata Macioti e lo studioso di religioni Massimo Introvigne, oltre naturalmente a Papi e «vari ospiti d’onore provenienti dalla politica e dal mondo accademico e religioso». Tutti i deputati troveranno in casella una copia della rivista Iskcon 50, «facile introduzione a fondatore, storia, credo e opere degli Hare Khrisna», mentre Marina Sereni, vicepresidente Pd, darà a tutti il benvenuto istituzionale. «Segno che non bisogna porsi limiti quando si organizza qualcosa per Krishna», gongola Parabhakti.
KRISHNA ON AIR Certo, la versione fornita dalla Camera è meno teocentrica. “La laicità dello Stato è un valore ma non si può tradurre in indifferenza al fenomeno religioso”, spiega Marina Sereni. “In ques’epoca di forte immigrazione, il dialogo con e tra le religioni è un fattore essenziale per la crescita e la coesione delle nostre comunità”. Fondata da Srila Prabhupada nel 1965, la Iskcon è sbarcata in Italia negli anni Settanta e i suoi fedeli, con le loro lunghe vesti bianche o giallo zafferano, hanno attraversato cantando e danzando gli anni di piombo e dell’eroina, diffondendo l’antica spiritualità vedica e il famoso mahamantra, Hare Krishna, con cui da allora vengono identificati nel nostro paese. Il riflusso degli anni Ottanta, la morte del fondatore, i dissidi tra i guru, le espulsioni, gli scandali americani venuti alla luce nel 1991 (abusi sessuali e maltrattamenti ai figli dei devoti in una comunità scissionista) li hanno fatti quasi sparire dalla scena, ma oggi sono in ripresa grazie anche all’immigrazione dall’India e dal Bangladesh che, spesso priva di luoghi di culto, si appoggia proprio a quelli della Iskcon. Ai tre templi maggiori, quelli di Firenze, Bergamo e Vicenza, si aggiungono i centri di Roma, Milano, Genova, Perugia e Lecce, oltre a un’emittente on air tutto il giorno, Radio Krishna.
REINCARNATI E CONTENTI Duecento i monaci iniziati, 5-600 i collaboratori stretti, 18 mila i fedeli e simpatizzanti esterni: «Non sono cifre travolgenti ma significative, perché si tratta di persone che hanno fatto scelte difficili in un contesto difficile», riflette la sociologa Maria Immacolata Macioti, che segue da anni l’evoluzione del movimento. «In un paese dalla millenaria tradizione cattolica e in una società sempre più secolarizzata in cui si parla, non senza qualche ragione, di analfabetismo religioso, anche la presenza di pochi devoti ha avuto ed ha rilevanza culturale». Tanto che Massimo Introvigne, l’autore dell’Enciclopedia delle religioni in Italia, dà loro un credito importante: hanno fatto conoscere agli italiani un certo tipo di induismo, «la tematica della reincarnazione e l’importanza del ricordo costante di dio».
MAL DI ENTE Dopo cinquant’anni, insomma, il movimento è uscito dalla sfera del folklore per assumere una veste più istituzionale. Al punto che, ottenuto nel 1998 lo status di ente morale, gli Hare Krishna sono in attesa del riconoscimento come ente religioso: «Da due anni manca solo una firma, quella del presidente della Repubblica», spiega Parabhakti. Perché il riconoscimento è così importante? Non certo per l’8 per mille: «La cifra sarebbe irrisoria. Quello che ci sta a cuore è avere dei diritti. Per esempio la possibilità di avere, in quanto religione riconosciuta, accesso negli ospedali, nelle scuole, nelle carceri». E poter diventare interlocutori istituzionali: «Già adesso in Toscana abbiamo ottimi rapporti con la Regione e con le istituzioni locali, tanto che in collaborazione con gli ospedali di Firenze e di Siena abbiamo inaugurato la stanza della meditazione».
ASPETTANDO MATTARELLA Ora, lo svolta in Parlamento. Un evento che i devoti considerano «storico» al punto da darne annuncio sulla rivista internazionale della Iskcon: «Ci darà un forte credito nelle sfere politiche, accademiche e culturali» e «avrà un effetto positivo sulla pubblica opinione». Spianando la strada, si augurano, alla firma del presidente Mattarella.