Entrambi usciti in homevideo, questi biopic americani sono vicini non solo per il genere al quale appartengono, ma anche perché trattano la vita di due personaggi estremi e fondamentali per l’industria culturale: lo sceneggiatore Dalton Trumbo e Brian Wilson, star dei Beach Boys.
L’ultima parola – La vera storia di Dalton Trumbo è il titolo italianizzato macchinosamente a partire da un semplice cognome. Il caso dell’autore hollywoodiano ma comunista bandito per questo dagli Studios ai tempi del maccartismo più cieco non è molto conosciuto in Italia. Dalton Trumbo, dopo essere stato messo nella lista nera del Governo degli Stati Uniti fu addirittura accusato di essere una spia sovietica e condannato a 11 mesi di prigione per resistenza all’operato del Congresso. Tra le sue battaglie sindacali quella per una più equa redistribuzione degli introiti degli Studios a favore di autori e maestranze, Trumbo partecipò attivamente a manifestazioni che non andarono giù a Major, stampa e molte lobby dell’epoca. In seguito lavorò come sceneggiatore sotto falso nome, vincendo in incognito l’Oscar per Vacanze Romane e La più grande corrida. Per lui firmava un collega. Scrisse sotto falso nome anche per una casa di produzione indipendente, tornando in sella con Spartacus grazie a Kirk Douglas.
È Bryan Cranston a vestire la pungente compostezza del protagonista. La moglie ha il viso di Diane Lane e la figlia è interpretata da Elle Fanning, entrambe lato familiare dell’artista e raffinate padrone dei ruoli. Il regista Jay Roach apre una finestra sul passato utilizzando uno stile rigoroso e lineare che ricalca quei tempi di metà ‘900 in forme e linguaggio, anche quello della macchina da presa. La versione homevideo porta contenuti extra piuttosto essenziali ma generosi in qualità. Due brevi speciali dove nel primo il cast parla del lavoro sui personaggi e le loro relazioni, mentre nel secondo regista, sceneggiatore e producer ripercorrono le tappe della vera storia dell’uomo dietro l’artista, compresa la sintesi narrativa ottenuta per il film.
Se Trumbo è un uomo volitivo e determinato a battersi per i suoi ideali anche contro il sistema, Brian Wilson in Love & Mercy appare come un ragazzo geniale quanto fragile, il cui equilibrio naufraga tra ossessione musicale e costrizione ad opera della famiglia prima, e del famigerato dottor Landy poi. Lo psicologo che lo seguì per anni circuendolo e vivendo delle sue fortune economiche ha ghigno e frangetta di Paul Giamatti, ma sono il giovane e l’adulto Brian che tirano lo spettatore dentro la vita del musicista: Paul Dano e John Cusack. I due attori si prestano a una straordinaria staffetta di ruolo scandita dai flashback. Gli extra del Blu-Ray approfondiscono vari aspetti, dalla ricostruzione scenica ai look dell’epoca, passando per le interpretazioni e le scelte cromatiche rispetto a epoche e percorsi emotivi dei personaggi. Tutto arricchito da alcune scene eliminate.
La vita di Wilson e i suoi problemi sono ricostruiti con incredibile fedeltà ai fatti e ai mood delle epoche attraversate (dagli anni ’60 agli ’80) e la regia di Bill Pohlad segue a perfezione le evoluzioni e i cambiamenti dei personaggi proponendo chicche registiche felicemente ricalcate su video d’epoca. L’importanza e la complementarità di figure come quelle di Trumbo e Wilson, forza e fragilità, stanno nell’aver gettato importanti basi creative ognuno nel proprio campo. Lo sceneggiatore, oltre a alcuni fondamentali pezzi di cinema, scrisse il film che consacrò Stanley Kubrick agli occhi del mondo: Spartacus. Wilson, invece, come mente creativa dei Beach Boys segnò un’epoca, sperimentò tecniche inedite di composizione e arrangiamento ispirando con la sua musica generazioni a venire. La qualità di due film rende loro giustizia. Non è stato così per gli Oscar 2016 invece, dove Cranston è stato uno dei grandi sconfitti pur candidato come Miglior attore protagonista, mentre Cusack ne è stato escluso del tutto e Dano ha soltanto ricevuto una nomination per il Golden Globe come non protagonista. Ma il buon cinema non corrisponde sempre a grandi premi. Innanzitutto “il cinema è sogno” come diceva Gian Luigi Rondi, e a noi basta sognare.