Pawel Krzysiek, direttore del programma di comunicazione del Comitato Internazionale della Croce Rossa a Damasco, parla a poche ore dall'attacco che alle porte di Aleppo ha preso di mira il convoglio di aiuti umanitari organizzato dall'Onu, uccidendo 21 persone
“C’è una recrudescenza degli scontri. Se questo vuol dire che la tregua è finita, non lo so. La situazione continua a essere difficile”. Pawel Krzysiek è il direttore del programma di comunicazione del Comitato Internazionale della Croce Rossa in Siria. Parla a poche ore dall’attacco che alle porte di Aleppo ha preso di mira il convoglio di aiuti umanitari organizzato dall’Onu, uccidendo 21 persone.
La Croce Rossa e la Mezzaluna riescono a lavorare in tutta Aleppo o solo in alcune zone?
“Il nostro ufficio e il centro di riabilitazione fisica sono situati ad Aleppo Ovest. Da quell’ufficio gestiamo tutti i nostri progetti in città. Ovviamente esistono parti di Aleppo dove è più difficile operare e accedere con gli aiuti umanitari. Ma questo non vuol dire che nel passato non abbiamo sostenuto quelle aree. Da anni, da quando la città è diventata zona di conflitto, sosteniamo materialmente i centri di dialisi e gli ospedali. Abbiamo anche creato cucine collettive che preparavano il cibo, in entrambe le zone del fronte. In queste ultime settimane abbiamo avuto difficoltà a far entrare gli aiuti nella parte est. Nel complesso la situazione è difficile in tutta Aleppo”.
Conferma che in queste ultime settimane la situazione in città si è complicata?
“Sì, ma, come dicevo prima, continuiamo a lavorare. Abbiamo costruito punti per il rifornimento idrico e continuiamo a sostenere gli ospedali. Omar Barakat, il nostro collega della Mezzaluna Rossa morto nell’attacco, lo conoscevamo molto bene. Avevamo incontrato Omar e il suo team poco tempo fa per la consegna dei rifornimenti. La situazione a Aleppo est è più difficile, ma anche nel resto della città ci sono migliaia di sfollati che sono andati nella parte ad ovest e hanno bisogno di sostegno”.
Dopo questo attacco cambia qualcosa nel modo di lavorare?
“Non molto: i nostri centri di riabilitazione fisica, distribuzione del cibo e ospedali continuano la loro opera. Ovviamente, dobbiamo rivalutare la situazione della sicurezza. Questo è il risultato della recrudescenza degli scontri. Come dicevo prima, il gruppo è sotto shock. Ma se ci fermiamo chi continuerà il nostro lavoro? Sono pochissime le organizzazioni che riescono a lavorare su entrambi i fronti. Immaginiamo cosa accadrebbe se ci fermassimo…”.
Qual è la situazione umanitaria nel Paese?
“La Siria soffre a vari livelli. Il primo è quello nelle zone dove ci sono gli scontri, nei campi sfollati e nelle zone sotto assedio. In queste aree c’è la necessità di un sostegno costante e immediato ed è qui che si focalizza la risposta umanitaria. Ci sono milioni di sfollati. Molto spesso sono fuggiti più volte da un luogo a un altro e non possiedono più nulla. Questa gente ha bisogno del cibo, acqua e cure. Poi, c’è il livello strutturale:le strutture idriche ed elettriche sono state fortemente colpite. Noi tentiamo di mantenere attive le strutture ospedaliere e abbiamo creato cliniche mobili che operano nelle aree dove i servizi non sono disponibili Bisogna ripristinarle. Infine, la situazione economica è molto difficile, per tutti. Prima della guerra un dollaro equivale a 45 lire siriane, ora è a 547 lire e questo ha prodotto un’alta inflazione”.
Diversi rapporti riportano il dramma dell’infanzia siriana.
“Abbiamo ricevuto molti rapporti dalle zone sotto assedio in cui si descrivono i traumi psicologici. Vivi per anni in un quartiere o zona dove muoverti è impossibile e questo crea insicurezza. Non ci sono servizi. Per questo le località sotto assedio diventano parte delle nostre priorità”.
Come si sta muovendo la Croce Rossa per rispondere a questo dramma invisibile?
“Pensiamo a cosa vuol dire essere bambini e vivere in aree distrutte, senza andare a scuola. Questi traumi psicologici rimarranno nella società siriana anche nei prossimi decenni, quando la guerra finirà. La Mezzaluna ha adibito delle strutture per il sostegno psicologico dell’infanzia, in particolare nelle aree in prossimità della linea del fronte. La Croce Rossa fa training e formazione a vari livelli ai volontari della Mezzaluna e, a loro volta, sono sostenuti psicologicamente da nostri operatori”.
Trova che i fondi internazionali e dei donatori bastino al vostro lavoro?
“In un paese come la Siria, dove i bisogni umanitari oltrepassano la risposta umanitaria, è evidente che non sono sufficienti. Dobbiamo aver chiaro che il sostegno non dovrà mancare per i prossimi decenni. Assistiamo moltissimi siriani e l’interruzione del sostegno, oggi o nel futuro, avrebbe effetti negativi. I fondi devono continuare ad arrivare”.
L’appello è quindi verso i donatori che devono fare di più?
“Sì, in particolare verso organizzazioni come la Croce Rossa che sono capaci di attraversare la linea del fronte, sostenendo i bisogni di tutti. Per questo l’attacco del 19 è scioccante. È molto grave perché sembrerebbe mirato e questo è preoccupante perché Croce Rossa e Mezzaluna sono gli emblemi del diritto internazionale umanitario. Sono una garanzia in quanto parte neutrale che si occupa dell’assistenza della gente. E se si comincia ad attaccare gli operatori umanitari questo può avere conseguenze tragiche, soprattutto per la gente che vive esclusivamente grazie a questi aiuti”.