Due detenuti si sono tolti la vita nel giro di 48 ore nelle carceri della Toscana, mentre sono 18mila i tentati suicidi sventati negli ultimi 20 anni negli istituti italiani. Questi due dati descrivono solo uno scorcio di una popolazione di oltre 56mila persone, stando ai dati del ministero della Giustizia, che vive oggi dietro le sbarre. Chi sono, perché sono in carcere e perché alcuni di loro non ce la fanno ad affrontare la reclusione? Oggi nei 193 istituti disseminati in tutto il Paese, ci sono poco più di 54mila uomini e oltre 2mila donne, 18.300 gli stranieri. In base agli ultimi dati disponibili, aggiornati al 30 giugno scorso, i detenuti condannati per reati di droga sono 18.491 (di cui 6.722 stranieri). Non è un numero come un altro. Perché se è vero che rappresenta un problema che i quasi duecento istituti italiani abbiano una capienza di 49.600 persone (6.888 in meno rispetto all’attuale necessità), bisogna fare i conti anche con altri fattori che possono essere alla base di atti di autolesionismo o tentativi di suicidio. Solo qualche giorno fa nel corso del Congresso Simspe-Onlus ‘Agorà Penitenziaria’ all’Istituto Superiore di Sanità è stato lanciato un allarme sulla salute all’interno delle carceri. Nel 2015 sono passati all’interno degli istituti quasi centomila detenuti: uno su tre è tossicodipendente, 5mila hanno contratto l’Hiv, 31.500 l’epatite e la metà sono inconsapevoli delle proprie patologie.

I SUICIDI DIETRO LE SBARRE – Ecco il contesto nel quale nel 2006 finora sono morte in carcere 67 persone, 25 togliendosi la vita. Lo scorso anno (dati del ministero della Giustizia) a fronte di 122 morti ci sono stati 43 suicidi. L’anno nero per quanto i riguarda i decessi è stato il 2011 (186 i casi), ma il numero più alto di suicidi (72) è stato registrato nel 2009. Se dal 2013 il dato è iniziato progressivamente a diminuire, quest’anno la cronaca è tutt’altro che rassicurante. L’ultimo episodio è avvenuto la sera di giovedì 22 settembre: un detenuto di nazionalità tunisina, arrestato ad agosto scorso per tentata rapina e ristretto nella prima Sezione detentiva del carcere di Lucca, si è impiccato alle sbarre della propria cella con delle lenzuola. In mattinata era stato condannato dal tribunale a due anni per rapina. “È stato fatto di tutto per salvarlo, purtroppo senza riuscirvi” ha dichiarato Donato Capece, segretario generale del Sappe. Mercoledì notte si era suicidato impiccandosi anche un altro detenuto, a Grosseto. Il 17 settembre scorso, invece, a Vercelli un detenuto ha tentato di incendiare la propria cella, dando fuoco al materasso e al cuscino, e ha aggredito tre agenti di polizia penitenziaria con una lametta. Di fatto nei primi sei mesi del 2016 solo nelle carceri del Piemonte si sono registrati 294 atti di autolesionismo, 38 tentati suicidi sventati in tempo, un suicidio e 26 ferimenti. “La morte per suicidio di un detenuto in carcere – ha aggiunto il segretario generale del Sappe – è sempre una sconfitta per lo Stato”. Secondo Capece “la situazione resta allarmante, altro che emergenza superata”. Il sindacato ha anche ricordato che negli ultimi 20 anni la polizia penitenziaria ha sventato più di 18mila tentati suicidi e impedito “che quasi 133mila atti di autolesionismo potessero avere nefaste conseguenze”.

L’IDENTIKIT DEI DETENUTISecondo il dodicesimo rapporto annuale dell’associazione Antigone ‘Galere d’Italia ci sono quasi 14mila e 800 detenuti in meno rispetto al 2010 (dato che si riferisce al 31 marzo scorso), eppure il ritratto delle carceri italiane non è affatto confortante, con un tasso di sovraffollamento che raggiunge il 108%. Allora chi sono e come vivono gli oltre 56mila detenuti negli istituti del Paese? Secondo Antigone “sono quasi 4mila le persone senza un posto letto, mentre altre 9mila hanno meno di 4 metri quadri a testa”. L’età media è di 40 anni e il 33,45% della popolazione carceraria è composto da stranieri, provenienti soprattutto da Marocco, Romania, Albania, Tunisia, Nigeria ed Egitto. Gli italiani, invece, sono originari soprattutto dal Sud Italia, dalla Campania (quasi uno su cinque), dalla Sicilia (12%) e dalla Puglia (7,1%).

L’ALLARME SULLA SALUTE – Ma un aspetto non secondario è quello relativo alle condizione di salute, fisica e psicologica, dei detenuti. Il congresso Simspe-Onlus ‘Agorà Penitenziaria’ di qualche giorno fa è stata l’occasione per diffondere i dati che non tutti conoscono. Dagli studi condotti in Italia emerge che tra il 60 e l’80% dei detenuti ha almeno una patologia, nel 48% dei casi di tipo infettivo. Il 32% soffre di disturbi psichiatrici. La legge italiana prevede la creazione di appositi servizi di assistenza psichiatrica in carcere e l’apertura di reparti di ‘Osservazione psichiatrica’. Si tratta di sezioni specializzate (per periodi limitati di 30 giorni prorogabili) ad osservare e curare i detenuti con specifiche patologie, per poi stabilire la loro compatibilità con il regime penitenziario. Si tratta di una questione non secondaria dato che oltre il 50% dei detenuti assume terapie farmacologiche per problemi psichiatrici. Antigone ha avviato una attività di osservazione negli 8 principali reparti di osservazione del Paese. E i problemi non sono pochi. Uno su tutti: “Presso le sezioni di osservazione – rileva l’associazione – accade purtroppo, e anche spesso, che vi siano destinati detenuti senza specifici problemi di salute mentale, ma che sono considerati come ‘indesiderati’ presso altre sezioni o semplicemente difficili da gestire”. Ma l’allarme lanciato sulla sanità non si ferma ai problemi psichiatrici. Secondo gli studi il 27-30% dei detenuti (tra 15 e 18mila) è tossicodipendente. Cinquemila sono positivi all’Hiv, circa 6.500 sono portatori attivi del virus dell’epatite B e 25mila di quello dell’epatite C. Eppure la metà dei detenuti entra in carcere senza averne alcuna consapevolezza.

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