Povera Virginia Raggi, ha potuto fare ben poco per la disastrata Roma, finora. Ma almeno una cosa per non dissestarla ancor di più sia finanziariamente, sia territorialmente l’ha fatta: ha confermato il NO alla candidatura per le Olimpiadi 2024.
Come gran parte del mondo ambientalista, mi sono sempre detto contrario alle grandi manifestazioni, estive od invernali che siano. In particolare, quando ero segretario della Commissione Internazionale per la Protezione delle Alpi, fu pubblicato dalla stessa nel 1998 uno studio che dimostrava come questi grandi eventi non costituissero un affare per le località ospitanti, tutt’altro. Fra debiti, impianti inutilizzati e dissesto del territorio, le grandi manifestazioni non potevano certo citarsi come esempi virtuosi di governo del territorio. Del resto, non sarà un caso che ci siano state di recente città che si sono dette contrarie ad ospitarli. Per quelle estive Boston ed Amburgo, dopo referendum. Per quelle invernali del 2022 si sono ritirate Monaco di Baviera, Cracovia, Leopoli, Stoccolma e Oslo. Personalmente e provocatoriamente, ho sempre affermato che se le grandi manifestazioni e le Olimpiadi in particolare si svolgono in nome dello sport e della fratellanza, esse si debbano svolgere sempre nella stessa località e negli stessi impianti.
Ovvio che è una provocazione: le grandi manifestazioni sono cavalli di Troia per le multinazionali ed occasione d’oro per palazzinari ed affini. Bene la Raggi quando afferma che sarebbero le Olimpiadi del mattone. In una città che ha già il triste primato del consumo di suolo.
Ma non è solo di questo che voglio parlare. Voglio parlare di Massimo Gramellini. Cosa c’entra direte voi il sodale di Fabio Fazio (che noi savonesi ricordiamo quando andava in giro per locali a raccontar barzellette)? C’entra perché mi è capitato sott’occhio il “Buongiorno” che lui pubblica quotidianamente su La Stampa. Nella sua rubrica di ieri, commentando il baciamano fatto da Giovanni Malagò alla sindaca Raggi il giorno precedente, così argomenta: “Il baciamano del presidente del Coni sa di inclusione, buone maniere e inevitabile ipocrisia, perché lui quella mano gliela mozzerebbe volentieri con un morso. Mentre negli atteggiamenti stucchevoli della sindaca di Roma – al cui confronto Hillary Clinton appare una ragazzona simpatica e spontanea – traspare il tratto fondante della setta grillina: il disprezzo per chiunque c’era prima, e che già solo per questo è una persona di cui diffidare, meglio ancora da umiliare. Per le seguaci del Dibba la galanteria è un’aggravante”.
Non so a chi mi legge, ma io trovo almeno stucchevole e fuori luogo che un giornalista quotato e vicedirettore di uno dei maggiori quotidiani nazionali si lasci andare a definire una compagine politica “setta”, ma forse è anche un bene, perché così il re è nudo, perché tale affermazione denuncia a sua volta chiaramente il disprezzo ma anche la paura che il grande capitale di cui La Stampa è uno dei portavoce ha per il M5S. Ma nel momento in cui Gramellini disprezza il Movimento, egli dimostra di apprezzare quello che è venuto prima del Movimento stesso. Gramellini ha 55 anni, non è di primo pelo. Dovrebbe ricordarsi della Democrazia Cristiana, del Partito Socialista di Craxi, di Tangentopoli, e, per venire a tempi più recenti, della Forza Italia di Berlusconi, del trasformismo del Partito Comunista, per tornare alla riedizione della Democrazia Cristiana di Renzi. Tutti partiti che hanno portato chi più chi meno l’Italia allo sfascio, economico, territoriale, ambientale. Meritano invece rispetto questi?