Vertice a Vienna tra Germania, Grecia e Paesi situati lungo la "rotta balcanica". Tra i principali punti in discussione proprio la chiusura di una delle più importanti vie di accesso in Europa. Tusk alla vigilia: "Va bloccata definitivamente". Cancelliera: "Fermare immigrazione illegale". Diffidenza dei leader dell'Est
Chiusura della “rotta balcanica” e nascita della Guardia di frontiera europea. Sono i punti principali in discussione al vertice di Vienna sulla cosiddetta “emergenza migranti”. Al summit, invitati dal cancelliere socialdemocratico Christian Kern, partecipano i leader di Germania, Grecia, Macedonia, Serbia, Albania, Croazia, Slovenia, Bulgaria, Romania e Ungheria, ovvero i Paesi situati lungo la direttrice migratoria che percorre i Balcani. Proprio in un incontro simile a nella capitale austriaca lo scorso febbraio, i Paesi della regione (ma all’epoca non vennero invitati né Grecia né Germania) decisero di chiudere la rotta.
“Dobbiamo confermare, politicamente e in pratica, che la rotta dei Balcani dell’immigrazione irregolare è chiusa per sempre”, si legge in una nota diffusa alla vigilia dell’incontro dal presidente del Consiglio Ue Donald Tusk: “Oggi dobbiamo discutere come migliorare l’efficacia delle nostre azioni”, ha sottolineato, ribadendo che “la chiave principale per la soluzione della crisi dei migranti è ripristinare il controllo effettivo delle frontiere esterne dell’Ue”. Ovvero la richiesta che i Paesi dell’Est Europa – Ungheria in testa – avanzano da un anno a questa parte. E “ovviamente”, ha aggiunto, “una precondizione essenziale per raggiungere questo obiettivo è una stretta cooperazione con i nostri partner nei Balcani e in Turchia”.
Ma il vertice di Vienna è soprattutto il palcoscenico della cancelliera Angela Merkel che illustra la sua ricetta per evitare che si ripeta l’esodo del 2015 lungo la rotta balcanica, rispetto al quale, comunque, “molto è stato fatto”. A rafforzare la sicurezza dei confini Ue, le guardie di frontiera europee che saranno ufficialmente lanciate il 6 ottobre in Bulgaria – ha annunciato il commissario Ue alla migrazione Dimitri Avramopoulos, spiegando che ci sarà anche un “Ufficio europeo per i rimpatri”.
Dopo la batosta elettorale a Berlino e la ‘promessa’ che non si ripeterà ciò che successo nel 2015, Merkel ribadisce il nuovo corso anche al di là dei confini nazionali. “Il nostro obiettivo deve essere quello di fermare per quanto possibile l’immigrazione illegale” fuori dall’Ue, ha detto la cancelliera assicurando a Italia e Grecia ulteriori aiuti e rispondendo indirettamente a Matteo Renzi che ieri in un’intervista al Washington Post – ricorda l’Ansa – aveva ribadito che “l’Europa deve investire in Africa” e sottolineato la mancanza di una “visione” da parte Ue che ha bisogno di una “strategia per i prossimi dieci anni”. “E’ necessario – ha aggiunto appunto Merkel – fare accordi con i Paesi terzi, specialmente con l’Egitto e con altri Paesi dell’Africa ma anche con Pakistan e Afghanistan… in modo che sia chiaro che coloro che non hanno il diritto di stare in Europa possano tornare nei loro Paesi”.
A sostenere la necessità di “riprendere il controllo dei confini esterni” dell’Unione è anche il cancelliere austriaco Christian Kern, sulla linea del presidente del Consiglio europeo Donald Tusk che spinge sul bisogno di certezze. E di una in particolare: “che i Balcani occidentali rimangano chiusi all’immigrazione illegale”. Anche se i leader dei Paesi in questione non sembrano fidarsi delle assicurazioni ricevute.
Non è soddisfatto del vertice di Vienna, privo di decisioni concrete, il premier serbo Aleksandar Vucic che critica anche la mancanza di una posizione unitaria dell’Europa. E anche se – guardando al grande sponsor dei muri, il premier ungherese Viktor Orban – Vucic ha ribadito che Belgrado non innalzerà barriere, ha precisato che in caso di una nuova crisi acuta sarà costretto ad adottare “determinate misure per difendere i suoi interessi nazionali”.
Intanto Francois Hollande cerca di disinnescare la mina Calais rispondendo alle critiche della destra che aveva evocato il rischio della moltiplicazione in tutto il Paese di ‘mini-Calais’. “La Francia non sarà un Paese di campi” profughi, ha detto il presidente, annunciando di volere chiudere interamente la cosiddetta ‘Giungla’ ripartendo i novemila migranti nei 140 centri di accoglienza temporanea realizzati in 80 dipartimenti dove potranno fare richiesta d’asilo. Per coloro a cui non verrà concesso, scatterà il rimpatrio.