Il premier aveva annunciato che entro maggio 2017 la Penisola diventerà il quarto maggior donatore del G7, superando il Canada. La ong One campaign, che ha messo in fila i dati relativi a tutti i Paesi Ocse, avverte: "Per riuscirci deve incrementare gli stanziamenti in modo sostanziale”. Diane Sheard, direttrice esecutiva per l’Europa: "I rifugiati vanno sostenuti con risorse nazionali"
L’Italia è ben lontana dal mantenere i suoi impegni internazionali circa gli Aiuti pubblici allo sviluppo (Aps). E se è vero che sta svolgendo un ruolo importante in Europa per far fronte alla crisi dei migranti, tuttavia proprio per fronteggiare l’accoglienza ai rifugiati nel 2015 è stato speso più di un quarto dei fondi destinati allo sviluppo. Risorse sottratte soprattutto ai Paesi più poveri. Ecco la fotografia scattata dal Data report 2016 di One campaign, l’organizzazione fondata da Bono Vox che da anni monitora i contributi economici dei Paesi donatori. Il rapporto contiene i profili dettagliati di 13 Stati, con l’analisi dei flussi complessivi di aiuti e la spesa per i rifugiati all’interno dei propri confini. E chiede all’Italia di più per mantenere la promessa fatta nel luglio 2015 ad Addis Abeba. One lo scrive nero su bianco: “Se il premier Matteo Renzi vuole vincere la sfida di diventare il quarto maggior donatore del G7 entro maggio 2017, superando il Canada, deve incrementare sostanzialmente gli aiuti”.
Renzi, parlando a New York a margine dell’Assemblea generale dell’Onu il 20 settembre, ha annunciato “un sostanziale aumento del nostro impegno finanziario”. In particolare, ha detto, “aumenteremo del 30% il nostro budget umanitario e assumeremo nuove iniziative con l’Unhcr“. Affermazione che non chiarisce se l’incremento andrà a scapito del promesso ritocco all’insù degli stanziamenti per lo sviluppo e il benessere nei Paesi in via di sviluppo. Il rapporto di One racconta come “molti governi abbiano infranto le proprie promesse riguardo agli stanziamenti da destinare alle sfide umanitarie”. Ecco perché, a un anno dall’adozione dei nuovi Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (che hanno sostituito i Millennium development goals). l’organizzazione esorta il capo del governo italiano “ad aumentare gli investimenti sia negli aiuti umanitari che in quelli allo sviluppo internazionale” e ad utilizzare “fondi nazionali per continuare a provvedere alle necessità dei rifugiati all’interno dei confini”.
L’analisi internazionale: “Solo lo 0,3% del pil agli aiuti allo sviluppo” – Per i Paesi che fanno parte del Dac, il Comitato di aiuto per lo sviluppo dell’Ocse, in media l’Aiuto pubblico allo sviluppo rappresenta solo lo 0,3% del reddito nazionale lordo collettivo. Molto lontano l’obiettivo dello 0,7% fissato dalle Nazioni Unite. Lo scorso anno solo sei Paesi l’hanno raggiunto: Danimarca, Lussemburgo, Paesi Bassi, Norvegia, Svezia e Regno Unito. E nonostante una risposta record agli appelli umanitari (per i quali si stima che quest’anno servano 21,9 miliardi di dollari), negli ultimi anni in media solo la metà delle richieste sono state soddisfatte. Per l’anno in corso la percentuale è appena del 33%, nel 2015 è stata del 55%, mentre nel 2010 era del 64%. Oltre 900 milioni di persone ancora vivono in estrema povertà, con meno di 1,90 dollari al giorno. L’86% dei rifugiati si trovano nei Paesi in via di sviluppo, molti dei quali con una disponibilità inadeguata di servizi base.
Quanto costa l’emergenza rifugiati – Il rapporto descrive come alcuni governi stiano pagando i costi della crisi dei rifugiati utilizzando gli investimenti altrimenti destinati ad aiuti internazionali “mentre solo alcuni Paesi stanno dimostrando che è possibile fare entrambe le cose”. Una tendenza che, spiega l’organizzazione, è necessario interrompere. Nel 2015 i Paesi donatori hanno stanziato risorse per 131,6 miliardi di dollari destinate all’Aiuto pubblico allo sviluppo, ma l’incremento del 6,9% rispetto al 2014 non tiene conto dei costi per l’accoglienza ai rifugiati che molti Paesi europei stanno coprendo proprio con i soldi altrimenti destinati ai Paesi in via di sviluppo. Sottraendo i quali il livello dell’asticella si alza solo di un 1,8%. Secondo il report “i costi per l’accoglienza ai rifugiati nel 2015 hanno rappresentato il 9,1% degli aiuti per lo sviluppo (erano al 2,8% nel 2010)”. Più del 20% del budget nel caso di cinque Paesi: Svezia, Austria, Italia, Paesi Passi e Grecia. In particolare, in Italia, Grecia e Svezia i costi per gestire l’emergenza migranti rappresentato il 50% o più degli aiuti bilaterali. “I rifugiati devono assolutamente ottenere il sostegno di cui hanno bisogno – ha dichiarato Diane Sheard, direttrice esecutiva per l’Europa di One – ma da fondi nazionali, non tagliando vitali risorse per lo sviluppo”.
Penisola lontana dall’obiettivo – Secondo i dati del rapporto nel 2015 l’Italia ha aumentato l’ammontare degli Aiuti pubblici allo sviluppo per il terzo anno consecutivo, portandoli allo 0,21% del Prodotto nazionale lordo. Nonostante il Belpaese sia ancora lontano dall’obiettivo internazionale di destinare allo sviluppo lo 0,7% del pil, Renzi si è posto l’obiettivo intermedio dello 0,3% entro il 2020 e di far diventare l’Italia il quarto maggior donatore tra le nazioni del G7 entro il vertice del maggio prossimo in Sicilia. “È simbolica la decisione del premier – ha commentato Sheard – di ospitare il vertice G7 in Sicilia, primo punto di approdo per molti rifugiati che arrivano in Europa”. Ma per raggiungere l’obiettivo annunciato da Renzi, l’Italia dovrà aumentare notevolmente il proprio contributo e superare il Canada che nel 2015 ha stanziato lo 0,28% del suo pil per lo sviluppo.
E anche la trasparenza resta un optional – Invece, nonostante gli aiuti dell’Italia ai Paesi meno sviluppati o ‘Least Developed Countries’ (caratterizzati da povertà estrema, basso reddito, scarso sviluppo sociale ed economico e capacità di crescita quasi nulla) nel 2015 siano aumentati del 10%, con solo lo 0,05% del pil rimangono ben lontani dall’impegno preso dall’Italia di destinare lo 0,15-0,2% ai Paesi più poveri. Per One l’Italia “deve aumentare notevolmente la quota degli Aiuti pubblici da investire nei Paesi meno sviluppati, raggiungendo il 50% del totale” e garantire che una quota maggiore vada a favore delle donne, maggiormente colpite dalla povertà rispetto agli uomini. Passi in avanti sono necessari anche sotto il profilo della trasparenza. “Il ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale – rileva inoltre il rapporto – registra risultati non soddisfacenti per quanto riguarda la trasparenza, rimanendo in fondo alla lista dell’Aid Transparency Index del 2016”. L’Italia è l’unico Paese europeo incluso nella lista a non pubblicare informazioni sul registro dell’Iati (International aid transparency initiative).