Il procuratore generale di Palermo, parlando a Insolvenzfest, ha raccontato l’evoluzione del fenomeno: “Esaurito il carburante della spesa pubblica illimitata, l'organizzazione è diventata un’agenzia che offre sul mercato beni e servizi, dalla cocaina allo smaltimento illecito dei rifiuti, creando accettazione sociale. In più è emersa un’oligarchia che non si sporca le mani con la violenza ma tratta alla pari con i colletti bianchi dello Stato”. Gli strumenti di contrasto non hanno tenuto il passo e “c’è il pericolo di un progressivo disarmo” dello Stato. Davigo, presidente dell’Anm: “Chi critica gli indici di corruzione percepita di solito la corruzione ce l’ha in simpatia”
Una mafia “a bassa intensità di violenza”, che si occupa soprattutto di “offrire beni e servizi – dalla cocaina alle prostitute allo smaltimento illecito dei rifiuti – a un mondo di cittadini normali e di imprese che li vuole” . E in questo modo “crea accettazione sociale” e rende inservibili le armi a disposizione del sistema giudiziario, creando il pericolo di un “disarmo progressivo”. A un livello ancora più alto, “élite criminali” che affiancano “pezzi di classe dirigente” nelle “cabine di regia in cui si fanno leggi ad hoc e si decidono grandi affari, come le privatizzazioni dell’energia e dell’acqua”. E’ la “massomafia” della Terza Repubblica descritta da Roberto Scarpinato, procuratore generale di Palermo, a Insolvenzfest 2016 – Dialoghi interdisciplinari sull’insolvenza. “Gli strumenti giuridici che abbiamo sono stati costruiti per la mafia dei brutti sporchi e cattivi. Ma i mafiosi non sono più così: stanno diventano persone che ci assomigliano sempre di più”, ha avvertito il magistrato. “Va a finire che non si sa più se abbiamo davanti il concorso esterno di amministratori pubblici negli affari sporchi della mafia o il concorso esterno dei mafiosi negli affari sporchi dei colletti bianchi…”.
Secondo Scarpinato la globalizzazione e il trasferimento del controllo sui bilanci pubblici europei dai governi nazionali a Bruxelles hanno cambiato alla radice anche l’universo mafioso. Che ha attraversato una vera e propria selezione della specie: dopo la firma dei trattati di Maastricht e il varo del fiscal compact le mafie tradizionali, cresciute in un’economia “drogata da una spesa pubblica potenzialmente illimitata, che alimentava il management del sottosviluppo”, hanno perso terreno in favore di quelle mercatiste. Che non si sporcano le mani con l’estorsione e altre attività criminali ad alto rischio – quelle le lasciano a una manovalanza usata come “carne da cannone” – ma pensano ad offrire al mercato tutto ciò che chiede, a prezzi concorrenziali. “Hanno imparato la lezione di Lucky Luciano”, ha raccontato il magistrato che dal 2005 al 2010 ha diretto il dipartimento Mafia-economia della procura palermitana. “Gestiscono eroina, cocaina, tabacchi di contrabbando, prostituzione, gioco d’azzardo. Beni che tanti normali cittadini vogliono. In più al Nord la ‘ndrangheta offre sul mercato servizi richiesti da migliaia di imprese perché consentono di abbattere i costi di produzione e massimizzare i profitti: se devi costruire un grattacelo in centro a Milano ma prima occorre demolire una palazzina piena di amianto, il colletto bianco della mafia te lo propone a un costo di 40 contro i 100 del mercato legale”.
Un esempio? “Lungo la Milano-Desio abbiamo trovato una discarica di 65mila metri quadri: gli ‘ndranghetisti hanno acquistato i terreni agricoli a un prezzo superiore a quello di mercato, poi hanno proposto alle industrie del bergamasco di smaltire i loro rifiuti pericolosi risparmiando e li hanno sepolti in quei terreni, in buche profonde 9 metri. Dopo di che hanno ottenuto l’edificabilità e ci hanno costruito sopra delle case che hanno venduto sottocosto. Così sono tutti contesti, dai liberi professionisti coinvolti agli amministratori locali ai cittadini”. Un modus operandi che, appunto, non crea opposizione ma accettazione sociale. “Non è paura: fanno leva sugli interessi personali. Il risultato è che i nostri strumenti di contrasto diventano inadeguati: una sezione della Cassazione, davanti a un caso di mafia al nord senza atti di violenza sul territorio, ha stabilito che si trattava di “mafia silente” e dunque non c’era reato, perché mancava il requisito dell’articolo sull’associazione mafiosa che dice che per configurarla ci vuole, appunto il metodo mafioso”. Un’altra sezione ha aggirato l’ostacolo appigliandosi al fatto che si trattava di “una cellula della casa madre calabrese, la quale in Calabria il metodo mafioso lo usa. Una giravolta giuridica, sintomo che il sistema di fronte a questa evoluzione è in sofferenza. Anche sequestro e confisca non funzionano più se la mafia non investe in palazzi ma in fondi e strumenti finanziari”. In pratica “c’è un gap conoscitivo tra la nuova realtà della mafia e quello che l’opinione pubblica ma anche molti operatori di giustizia pensano. Ma se pensi che quando non ci sono una pistola puntata e una coppola storta non c’è mafia, c’è il pericolo di un disarmo progressivo”, avverte Scarpinato. “E’ un problema non solo da giuristi, ma criminologico, politico e sociale: occorre un ripensamento complessivo dell’intervento giuridico contro le mafie mercatiste, che tenga conto di questi confini sempre più sfumati”.
Ma c’è di più, c’è un terzo livello: “Nuove forme criminali che nascono dall’ibridazione di segmenti della classe dirigente che praticano in modo sistematico il crimine, per esempio attraverso la corruzione, e aristocrazie mafiose che confluiscono in nuove superstrutture, sistemi criminali, comunità di élite”. E’ quella che Scarpinato definisce la “massomafia”. “La ndrangheta non esiste più. Adesso fa parte della massoneria, è sotto ha pero le stesse regole”, dice un boss intercettato nell’ambito dell’inchiesta Mammasantissima. “Bisogna modernizzarsi: il mondo cambia e bisogna cambiare tutte le cose”. Si può chiamarla massomafia o “P4, P6, P9” e il canale che la alimenta è la corruzione, “diventata un fenomeno incontenibile e in crescita costante perché nel nostro Paese si è venuto a creare, di fatto, uno statuto impunitario”. “In carcere a espiare pene per reati contro la pubblica amministrazione non c’è praticamente nessuno”, ha ricordato il procurato di Palermo, “perché ci sono leggi che hanno azzerato i rischi e il costo penale che paghi se vieni scoperto. La prescrizione massima è di sette anni e mezzo: in Sicilia si sta prescrivendo il processo per una delle maggiori truffe su fondi Ue per la formazione, il caso Ciapi. La riforma? Pannicelli caldi. Quest’anno io ho chiesto al ministro, per l’ennesima volta, di estendere il raddoppio dei termini di prescrizione che vale per i reati di mafia a quelli contro la pa. Ma non se ne fa mai nulla. Poi servono gli infiltrati. Ma anche di questo non si fa mai nulla. Così l’impunità è garantita”.
Sulla stessa linea, per quanto riguarda la necessità delle operazioni sotto copertura per combattere la corruzione, anche il presidente dell’Anm Piercamillo Davigo, che durante Insolvenzfest ha auspicato anche un sistema premiale molto più spinto – fino alla garanzia dell’impunità – per indurre a collaborare il pubblico ufficiale corrotto che viene scoperto. “Gli strumenti che abbiamo a disposizione oggi sono del tutto inefficaci”. Quanto a “chi critica gli indici di corruzione percepita, di solito ha in simpatia la corruzione”, ha chiosato Davigo. “Per avere un’idea di quanto pesa sull’economia italiana basta guardare l’indice messo a punto dalla professoressa Miriam Golden e dal professor Lucio Picci: la misura in ragione del costo delle opere pubbliche dedotto l’indice orografico, che ovviamente su quel costo incide. Risultato: in Spagna l’alta velocità ferroviaria è costata circa 9,8 milioni al chilometro, in Francia 10,1. In Italia la Torino-Milano, che è tutta pianura, l’abbiamo pagata 77 milioni al chilometro”.