Sabato scorso l’intesa con la Ue sulla flessibilità era “vicina”, secondo La Stampa. Che domenica dava conto, come Il Sole 24 Ore, di un “piano B” per avere più spazio di manovra sui conti pubblici senza spostare troppo in alto l’asticella del rapporto deficit/pil: semplicemente tenere fuori dai vincoli del patto di stabilità le spese legate agli interventi post-terremoto (cifrati in 4 miliardi) e all’accoglienza dei migranti (3,5 miliardi, sostiene Palazzo Chigi). Arrivati a lunedì, però, si scopre che il gioco delle tre carte messo a punto dal governo è lontano dall’aver ottenuto il via libera di Bruxelles. Tanto che il varo della nota di aggiornamento del Def, con il nuovo scenario macroeconomico su cui si baserà la legge di Bilancio, slitta a martedì sera. E, quel che è peggio, il rinvio non dipende solo dalla difficoltà dei negoziati con la Commissione, ma – stando a quando riporta il quotidiano torinese – da “tensioni tra il premier e il ministro del Tesoro” Pier Carlo Padoan, con Renzi che “non vuole trovarsi costretto a giustificare una manovra di sacrifici come nuovi tagli alla spesa sanitaria” e anzi “vorrebbe mettere a bilancio la promessa riduzione dell’Irpef nel 2018, ma lo spazio fiscale secondo il Tesoro non c’è“. Perché nel frattempo la crescita del pil si è fermata: la nota rivedrà al ribasso sia le previsioni per quest’anno (probabile che l’asticella si fermi intorno allo 0,9%, rispetto al +1,2% stimato lo scorso aprile) sia per il prossimo (+1,1/+1,2% contro il +1,4% del Def).

Il gioco delle tre carte sulla flessibilità: 7-8 miliardi “fuori dal patto” – “Tutto ciò che servirà per i migranti e per mettere a posto le scuole è prioritario sul patto di stabilità, ne ho parlato a Juncker e credo ci sia il consenso anche dell’Ue su questo”, ha detto Renzi giovedì sera a Otto e mezzo. Accordo raggiunto, dunque? Tutt’altro, visto che il presidente della Commissione lo stesso giorno ha sottolineato come l’Italia abbia già beneficiato di 19 miliardi di flessibilità e sia l’unico Paese che ha ottenuto anche quella giustificata con la “clausola degli investimenti. In più il premier non ha ottenuto la revisione del metodo di stima del pil potenziale, che avrebbe ridotto la portata della correzione dei conti considerata necessaria dall’Europa.

Il piano: disinnescare l’aumento Iva con i soldi per migranti e sisma – Ecco allora che lo schema messo a punto dal governo punta ad aggirare l’ostacolo. Come? Da un lato limiterà la richiesta esplicita di flessibilità, accontentandosi di portare il rapporto deficit/pil a non oltre il 2,3%, dall’altro si prenderà comunque la libertà di fare ulteriori spese per 7-8 miliardi (per i migranti e il sisma) considerandole appunto “fuori dal patto”. Visto che a maggio il deficit/pil concordato con la Commissione era pari all’1,8%, la prima operazione assicura 8 miliardi in più a disposizione per coprire le uscite. Fatte le somme, in tutto il governo avrebbe a disposizione 15-16 miliardi di euro. Un margine che da solo consente di disinnescare le clausole di salvaguardia, cioè gli aumenti automatici dell’Iva promessi alla Commissione a garanzia della tenuta dei conti pubblici. La legge di Stabilità varata nel 2015 aveva infatti impegnato il governo a trovare quest’anno 15 miliardi per rispettare gli obiettivi di bilancio, pena un incremento delle aliquote Iva in grado di assicurare lo stesso introito. Con i nuovi margini che Palazzo Chigi intende prendersi per le “circostanze eccezionali” il gioco sarebbe fatto, senza tagliare la spesa pubblica o individuare nuove entrate. Insomma: i soldi extra che Palazzo Chigi sostiene di dover spendere per la ricostruzione post-sisma, la prevenzione e l’emergenza migranti serviranno in realtà a scongiurare un aumento delle tasse che sarebbe controproducente per Renzi in vista dell’appuntamento con il referendum costituzionale.

Ma le richieste per l’emergenza immigrazione e la ricostruzione sono eccessive – A monte, comunque, c’è un altro nodo: i fondi extra patto rivendicati da Roma sono decisamente eccessivi. Prendiamo quelli per l’assistenza ai circa 150mila migranti ospitati in Italia: stando a indiscrezioni Renzi punta a quota 3,5 miliardi, ma per quest’anno la Commissione ha riconosciuto a Roma una flessibilità pari a soli 700 milioni (lo 0,04% del pil) a fronte dei 3,3 miliardi chiesti con la scorsa legge di Stabilità. Ritenuti peraltro eccessivi dallo stesso ministero dell’Interno, che ha quantificato le spese in circa 1 miliardo. Quanto alle spese legate al sisma nel centro Italia, il premier intende mettere sul piatto 4 miliardi. Ma solo una parte sarà destinata alla ricostruzione: il resto, nelle intenzioni del presidente del Consiglio, dovrebbe essere usato per l’avvio del piano di prevenzione Casa Italia. Difficile però che la Commissione accetti la classificazione di spese da programmare nel lungo periodo sotto la voce “circostanze eccezionali”.

E Padoan vuole “congelare” parte della manovra in attesa del via libera Ue e del referendum – Tutto questo comunque, avverte Repubblica, non basterà per coprire le uscite legate alle misure sulle pensioni e contro la povertà, il rinnovo del contratto degli statali, l’iperammortamento del 250% sugli investimenti e l’Iri al 24% per le imprese individuali, la riedizione di ecobonus e incentivi per l’adeguamento antisismico, il nuovo bonus scuola e gli altri interventi che dovrebbero entrare in legge di Bilancio. Saranno necessari “7 miliardi di tagli a sanità e servizi”. E proprio su questo è in atto, secondo La Stampa, uno scontro tra Renzi e Padoan. Con il ministro del Tesoro che alla luce delle privatizzazioni al palo e della necessità di ridurre il rapporto debito/pil vorrebbe tirare il freno e addirittura “congelare parte del menù della manovra in attesa di un accordo con Bruxelles sulle spese fuori dal patto di stabilità e del referendum“.

 

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